Schengen sotto accusa “Alle frontiere esterne anche i cittadini europei saranno controllati”

Schengen sotto accusa “Alle frontiere esterne anche i cittadini europei saranno controllati”

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 BRUXELLES. Schengen è sotto accusa. Non tanto l’accordo di libera circolazione tra i Paesi europei, che pure qualcuno vorrebbe rimettere in discussione, quanto piuttosto il sistema di controllo alle frontiere esterne della Ue e l’efficacia della comunicazione tra le forze di polizia nazionali. Il fatto che la mente degli attentati di Parigi, Abdelhamid Abaaoud, abbia potuto tranquillamente andare e venire tra il Belgio, la Francia e la Siria, pur essendo da tempo ricercato, o che un altro degli attentatori sia entrato in Grecia con la marea dei profughi senza essere correttamente identificato, dimostra che il sistema di controlli in ingresso e in uscita dall’area Schengen non funziona come dovrebbe.
Sarà questo il problema che i ministri della Giustizia e dell’Interno, convocati d’urgenza oggi a Bruxelles, cercheranno di risolvere. «Non intendiamo aprire una discussione sul futuro di Schengen: ci sono cose che si possono migliorare, tuttavia mettere in questione gli accordi sarebbe un passo indietro», avverte il commissario alla libera circolazione Dimitris Avramopoulos. Ma ci sono molti buchi da riempire. Il primo riguarda il controllo alle frontiere esterne dello spazio Schengen. I ministri approveranno una modifica al regolamento che consenta verifiche approfondite anche sui cittadini europei, confrontando i loro dati con il casellario centrale del sistema europeo Sis.
La seconda falla è politicamente più delicata, perchè si incrocia con l’emergenza immigrazione. Occorre, dicono i ministri nella bozza di conclusione che sarà approvata oggi, «una sistematica registrazio- ne, compresa quella delle impronte digitali, dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo che entrano nell’area Schengen ». I nuovi arrivati dovranno anche sottoporsi a «controlli di sicurezza» collegati alle banche dati europee. La registrazione dei migranti non è in sè una novità, in quanto è già prevista dalle norme europee. Ma molto spesso non viene applicata nei Paesi di primo arrivo, in particolare la Grecia e l’Italia, perchè li obbligherebbe a trattenere l’immigrato o il richiedente asilo senza lasciarlo proseguire verso il Nord Europa, che è spesso la meta finale del suo viaggio.
L’inosservanza di queste norme, e la mancanza dei cosiddetti «hot spots» per l’identificazione e lo smistamento dei profughi, ha indotto il governo olandese a ventilare addirittura la possibilità di ridurre l’area di libera circolazione dando vita a una «mini-Schengen» limitata ad Austria, Germania e paesi Benelux, e creando campi di raccolta profughi al di fuori di quest’area. L’idea, più una minaccia indiretta che una ipotesi realistica, non è neppure stata presentata alle autorità comunitarie e non verrà discussa dai ministri. Del resto i tedeschi sono stati i primi a bocciarla. «La soluzione alla crisi dei migranti va trovata sulle frontiere esterne della Ue», ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel dopo un incontro con il cancelliere austriaco Faymann. Ma il solo fatto che un governo europeo abbia potuto contemplare una eventualità simile dà la misura di quanto gli attentati di venerdì scorso a Parigi e l’allerta terrorismo abbiano ulteriormente complicato la già drammatica emergenza immigrazione.
I ministri, oggi, dovranno però fare i conti anche con altri buchi nella rete della sicurezza che hanno facilitato l’operato dei terroristi. Il più grave è la mancanza di comunicazione tra i servizi di polizia dei vari Paesi. Le forze dell’ordine europee da tempo dispongono di diverse banche dati comuni, dal sistema SIS a quella di Europol. Ma se informazioni potenzialmente rilevanti non vengono inserite nel sistema, come è stato il caso per i terroristi di Parigi, è evidente che l’efficacia della rete antiterrorista ne risulta molto indebolita. Per la verità è da tempo che, ad ogni riunione dei ministri degli Interni, i responsabili politici sottolineano la necessità di rafforzare lo scambio di informazioni. Ma evidentemente le buone intenzioni dei governi non sono finora bastate a cambiare le cattive abitudini dei servizi di sicurezza.
Poi ci sono le novità da introdurre. Nel comunicato che approveranno oggi, i ministri chiederanno la messa in opera «entro il 2015» del PRN, il sistema di registrazione dei passaggeri aerei «anche sui voli interni». Il registro, in preparazione da tempo, è bloccato dalle resistenze degli europarlamentari che temono violazioni sul diritto alla privacy dei cittadini europei. Già dopo la strage di Charlie Hebdo si era solennemente deciso di affrettarne la messa in opera. Evidentemente senza risultato. Infine dovrà subire una accelerazione il progetto per il varo di un passaporto europeo con i dati biometrici, sollecitato dalla Francia, per evitare che i terroristi utilizzino, come fanno ora, documenti autentici ma appartenenti a persone somiglianti sfruttando la scarsa attendibilità delle foto di indentificazione.


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