Sette ore e 5 mila proiettili per uccidere Abaaoud “Stava per colpire ancora”

by redazione | 19 Novembre 2015 9:44

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SAINT- DENIS. «Dov’è il tuo amico?». «Non è il mio amico ». Le squadre speciali, a pochi metri dai terroristi, sentono le ultime parole prima dell’esplosione. La palazzina di rue Corbillon trema, poi il silenzio. Dopo ore di battaglia, l’assalto è concluso. Gli esperti della polizia scientifica finalmente entrano e camminano su un campo di macerie, con la convinzione che tra i detriti ci siano anche i resti di Abdelhamid Abaaoud, il mandante degli attacchi di venerdì 13 cominciati a ottocento metri da qui, allo Stade de France.
È l’epilogo di nuova giornata di guerra alle porte di Parigi. Nella notte di martedì un centinaio di uomini del Raid, l’unità di élite della polizia, e del Bri, quella della polizia giudiziaria, arrivano nel piccolo centro di Saint-Denis, a nord di Parigi. Le strade sono quasi deserte. Gli investigatori sono sulle tracce di Abaaoud che secondo la versione ufficiale aveva pilotato i vari commando dalla Siria ma invece, si scopre adesso, è stato in prima linea durante gli attacchi. Le intercettazioni su Hasna Aitboulahcen, 26 anni, cugina di Abaaoud, portano fino a un indirizzo di Saint-Denis: 8 rue Corbillon, all’angolo con rue de la République, il corso in cui ci sono tutti i negozi. Secondo gli investigatori al terzo piano sarebbero nascosti Aitboulahcen, Abaaoud e un altro uomo. Quando sono arrivati? I residenti sostengono di aver visto la donna mentre parlava con alcuni uomini la sera prima. Non è chiaro se il gruppo dormiva già da giorni nell’appartamento come dice Jawal, che si è presentato alle tv come il “proprietario” dei locali, prima di essere arrestato.
La palazzina è in parte abbandonata, usata per spaccio e prostituzione, almeno così risulta al sindaco che descrive l’immobile come uno “squat”. Alle 4.16 le forze speciali sfondano il piccolo portone d’ingresso e cominciano a salire, mentre un elicottero illumina la facciata e sei cecchini sono appostati sugli immobili vicini. Al secondo piano, gli agenti si trovano davanti a tre persone armate. Gli abitanti di Saint-Denis sentono una sparatoria. Alcuni pensano a un regolamento di conti tra bande, siamo nel famigerato dipartimento ‘93 con il più alto tasso di criminalità del paese. Una delle cameriere del ristorante dove si è fatto esplodere uno dei kamikaze dello stadio, abita vicino, chiama il vicesindaco. «Sono tornati». Il municipio viene subito riaperto, le prime persone dei dintorni sono evacuate e portate in salvo dentro agli uffici comunali. Subito dopo gli attentati, il sindaco comunista mette una scritta sulla facciata: “La migliore risposta alla barbarie è l’unione”.
Il primo scontro a fuoco termina, uno degli uomini è ferito, portato via insieme agli altri due. L’operazione continua al terzo piano. Lo “squat” in realtà è un covo dei terroristi con una porta blindata. Le teste di cuoio sistemano una carica esplosiva per farla saltare. Funziona solo per metà, il passaggio resta bloccato. Dall’interno partono le prime raffiche, le persone barricate lanciano granate riuscendo a sistemare un grande scudo tra loro e gli agenti. L’appartamento, un monolocale con cucina, diventa una trincea. Dall’esterno i cecchini seguono i confusi movimenti nelle stanze. La sparatoria prosegue a intermittenza per quasi un’ora fino a un momento di tregua. Le forze speciali lavorano in uno spazio chiuso, ristretto, in condizioni «difficilissime » come racconterà poi il ministro dell’Interno. In quel momento di silenzio, le unità d’élite decidono di mandare in ricognizione Diesel. Il cane che lavora con le squadre speciali da anni viene ucciso da una raffica. Uno dei cecchini intravede allora un uomo alla finestra, gli chiede di arrendersi. C’è lo scambio di battute sull’“amico” Abaaoud. Il terrorista spara, il cecchino risponde. Da fuori si vede allora la donna aprire il fuoco e lanciarsi verso gli agenti. Poi, un boato. Aitboulahcen è la prima donna kamikaze francese. Le finestre volano in frantumi, pezzi di corpo cadono su una delle macchine della polizia in strada insieme a un materasso coperto di sangue. Alle nove, cinque ore dopo l’arrivo delle forze speciali, l’assalto di Saint-Denis non è ancora finito. Centinaia di giornalisti vengono tenuti a distanza vicino a una chiesa dove qualche ora dopo la polizia cerca eventuali complici, abbattendo il portone a colpi d’ascia. Una scena inedita, una delle tante di questa giornata. Anche l’esercito per la prima volta mobilitato nelle strade dà la misura dell’operazione in corso.
Al terzo piano della palazzina di rue de Corbillon, le teste di cuoio lanciano una ventina di granate per tentare di avanzare nell’appartamentopuntando in aria i laser rossi. All’esterno un drone si avvicina alle finestre e al sottotetto ma le immagini non permettono di chiarire la situazione. Gli agenti del Raid e del Bri conquistano qualche metro e si ritrovano a bordi di un cratere: il pavimento ha ceduto durante l’esplosione della donna-kamikaze. Al piano di sotto, c’è il corpo di un altro uomo. Gli agenti scoprono anche due altri individui nascosti tra le macerie, sono completamente nudi. Vengono arrestati e portati via.
Altre due persone sono fermate nei pressi di boulevard Carnot, Jawal il “proprietario” dell’appartamento e una donna che lo accompagnava. Gli arresti in tutto saranno otto. Alle 11.20 l’assalto seguito in diretta tv da milioni di francesi è concluso. A terra ci sono oltre cinquemila bossoli della polizia. La cellula che si nascondeva nel monolocale di rue de Corbillon era pronta a entrare in azione, dirà qualche ora dopo il procuratore François Molins, senza però svelare l’identità delle persone morte. Tra le macerie della palazzina si nasconde un altro pezzo di verità del piano di terrore cominciato quasi una settimana fa.
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