“Sotto attacco ma più libere” le donne di Raqqa sfidano il Califfo

“Sotto attacco ma più libere” le donne di Raqqa sfidano il Califfo

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«I guerrieri dello Stato islamico spaventano la gente di Raqqa continuamente. Ma quando arrivano gli aerei da guerra, loro scappano come topi e vanno a nascondersi fra i civili e le case. E quando ti chiedono se sono andati via, ti senti proprio bene». È una narrazione a pezzi e bocconi quella trasmessa dai blogger di Raqqa is been slaughtered in silence, da tempo unici testimoni dall’interno della capitale di Daesh, il sedicente Stato Islamico.
Compresso nelle poche parole pubblicabili su Twitter, il loro è comunque un racconto straordinario, che si concede persino il lusso dell’ironia: «Alcune donne sono uscite sul balcone per respirare aria fresca, perché i miliziani hanno tanta paura degli aerei che non gli urleranno contro di rientrare dentro e indossare il velo». Nella rappresentazione scandita in vari passaggi di 140 caratteri è ben chiaro quello che il giogo dell’ortodossia fanatica rappresenta per la gente di Raqqa: «Sì, i bombardamenti sono spaventosi, portano il panico, ma questi trenta minuti in cui i combattenti non si curano delle regole dell’Is e pensano solo a scappare, sono trenta minuti di libertà dal loro brutale regime».
Ma la testimonianza lanciata sotto il nome collettivo di “Raqqa è massacrata in silenzio”, un grido d’aiuto più che un vero nome, se ha raccolto in poco tempo l’attenzione di addetti ai lavori e curiosi, ha anche attirato la repressione dei fondamentalisti. Uno dei fondatori del gruppo, Al-Moutaz Bellah Ibrahim, è stato sequestrato e ucciso. Due uomini sono stati giustiziati davanti alla telecamera dell’Is proprio con l’accusa di essere membri del gruppo. E due settimane fa è toccato a Ibrahim Abd al Qader, fondatore e direttore dell’organizzazione: imprigionato e torturato dagli uomini dell’Is, era poi riuscito a fuggire in Turchia. Qui lo hanno raggiunto gli assassini dello Stato Islamico, che hanno massacrato lui e l’amico Fares Hamadi, giornalista del collettivo “Eye on Homeland”.
Né il lutto né la sorveglianza ordinata dai vertici degli integralisti, però, dissuadono gli attivisti: dove i giornalisti occidentali (tranne pochissime eccezioni, come il tedesco Jurgen Todenhofer) non possono arrivare, è importante che ci sia qualcuno pronto a testimoniare. Sono loro che hanno segnalato ieri la pioggia di missili da crociera arrivata sulla città dalle navi russe che incrociano nel Mediterraneo, sono loro che hanno disilluso l’Aeronautica francese, segnalando che i bombardamenti a tappeto degli ultimi giorni avevano colpito in prevalenza vecchie sedi dell’Is, svuotate prima dell’attacco.
«Sono state due notti folli. Le postazioni abbandonate dell’Is all’ingresso della città sono state colpite, come i posti di controllo e diversi altri obiettivi. Acqua e linee elettriche sono state tagliate, così come le strade di rifornimento. Siamo in grado di confermare che gli attacchi francesi non hanno provocato vittime civili», hanno scritto ieri gli attivisti, aggiungendo la registrazione sonora dei raid e delle esplosioni. Ma oltre al dovere della testimonianza, Internet offre ai blogger di Raqqa anche lo spazio per esprimere la disperazione: «Il mondo deve sapere che noi viviamo fra il controllo dell’Is sul terreno e i bombardamenti che arrivano dall’alto», si lascia andare un attivista.


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