Un missile sul disgelo così si è spezzato il fronte anti-terrore

Un missile sul disgelo così si è spezzato il fronte anti-terrore

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IL giallo avvenuto nello spazio aereo, martedi mattina, al di qua o al di là del confine tra Siria e Turchia, ha già serie conseguenze internazionali. Anzitutto mette in periglio la coalizione contro i terroristi dello Stato islamico. Stava per allargarsi, e diventare più potente ed efficace grazie all’adesione della Russia, e adesso tutto appare compromesso. Vladimir Putin era sul punto di unirsi all’alleanza guidata dagli Stati Uniti, spinto dalla strage di Parigi e dal suo aereo esploso con più di duecento passeggeri sul Sinai. In queste ore si dice «pugnalato alle spalle».
Il presidente russo non era un avversario aperto, ma un concorrente dichiarato della grande armada aerea più chiassosa che efficace creata da Washington. L’F-16 turco che ha abbattuto con un missile il Sukhoi Su-24 non solo ha rimesso in discussione l’allargamento dell’alleanza contro il terrorismo salasfista, ma può pregiudicare la distensione che si profilava tra l’Occidente e la Russia dopo la lunga “guerra fredda” cominciata con gli avvenimenti d’Ucraina e prolungatasi fino all’ottobre scorso con l’intervento a sorpresa di un robusto corpo di spedizione russo (aereo, navale e di terra) in Siria. Erdogan conta sull’Alleanza atlantica, di cui il suo paese è un importante membro veterano. Per Putin quell’affiliazione della Turchia appesantisce invece la situazione. E certo non l’ha rassicurato la dichiarazione di Barack Obama che ha riconosciuto nelle ultime ore «il diritto di difendersi della Turchia». Non è stato un gesto distensivo neppure la decisione del presidente russo di far salpare per il Medio Oriente l’incrociatore Moskwa. Più incline a raffreddare i toni è stata la Nato, riunita d’urgenza a Bruxelles dietro richiesta di Ankara. È stata ecumenica: ha esortato i due paesi a ritrovare un’intesa.
Si tratta di un giallo perché Ankara sostiene che il Sukhoi Su-24 sia stato abbattuto dopo ben dieci avvertimenti perché aveva sconfinato nello spazio aereo turco; e perché Mosca sostiene al contrario che l’F-16 ha colpito l’aereo russo quando si trovava nello spazio siriano. Gli apparecchi russi violano spesso i confini. Capita nei Paesi baltici quando sono diretti a Kaliningrad, l’enclave dove sono acquartierate numerose loro unità militari. Durante il percorso provocano la Lituania sorvolando per brevi tratti, senza autorizzazione, il suo territorio. Sarebbe accaduto di recente anche al confine siriano, da quando Putin ha deciso di intervenire in Medio Oriente, ma il passaggio dalla provocazione senza danni al lancio di un missile che disintegra l’aereo indisciplinato equivale a un atto di guerra.
Nel tentativo di ristabilire le responsabilità, come in un giallo, si cerca il movente. Il pilota turco dell’F-16 non ha sparato il missile di propria iniziativa. Per ammissione delle stesse autorità di Ankara gli è stato ordinato, dopo le dieci intimazioni lanciate in cinque minuti, di abbattere l’apparecchio indisciplinato. Nel frattempo senz’altro identificato come russo. Anche se, nonostante Mosca lo neghi, il Sukhoi Su-24 fosse sconfinato di poco, e in quel momento si trovasse nello spazio turco, non trattandosi di un nemico dichiarato, ma distratto, al massimo provocatore, era forse ragionevole non ricorrere a misure drastiche.
Il movente era tuttavia piuttosto politico. Erdogan non gradisce l’allargamento della coalizione contro lo Stato islamico. Non vuole che ne facciano parte la Russia e l’Iran, suo partner del momento. Gli alleati reali o virtuali non hanno nel conflitto mediorientale gli stessi nemici. La Russia appoggia Bashar Al Assad, il rais di Damasco, che la Turchia considera invece un nemico da abbattere o da destituire. La Russia accusa la Turchia di favorire sottobanco lo Stato islamico che fa passare il petrolio acquistato di contrabbando in Iraq. Russia e Turchia non solo non hanno gli stessi nemici. Non hanno neppure gli stessi alleati.
Gli americani usano i curdi come fanteria. Nessun paese occidentale o arabo vuole impiegare soldati a terra. Le loro aviazioni si servono in particolare dei curdi, i quali stanno acquistando prestigio e indirettamente l’appoggio, che col tempo potrebbe diventare un diritto, per arrivare a creare un prorio Stato nella futura Siria. La quale si annuncia come una federazione. Questa prospettiva non va certo a genio al governo turco che combatte i curdi in patria e nei paesi vicini, temendo che possano affermarsi.
I turchi accusano i russi di dirigere i loro bombardamenti soprattutto sui ribelli impegnati contro il regime di Assad e aiutati da Ankara. In particolare le comunità turcomanne. Uno dei piloti del Sukhoi Su-24 abbattuto sarebbe riuscito a catapultarsi fuori e col paracadute sarebbe finito in una delle zone che aveva appena bombardato. Sarebbe cosi caduto nelle mani dei ribelli proturchi. È quel che ha affermato Ahmed Berri, uno dei capi dell’Esercito libero siriano. Ma sulla sorte dei piloti del Sukhoi si hanno finora notizie divergenti. Non si conosce con esattezza la loro sorte. Turchi e russi, destinati a partecipare alla stessa alleanza, hanno in realtà molti motivi per affrontarsi. I primi appartengono all’area sunnita, mentre i secondi, i russi, si sono scoperti amici dell’Iran sciita, che ha come alleati Bashar Al Assad e gli Hezbollah libanesi. Il Sukhoi Su-24 abbattuto al di qua o al di là del confine tra Siria e Turchia è servito a frenare un’alleanza che infastidiva Ankara. Ma se questo era il movente le conseguenze vanno al di là del conflitto mediorientale. In questi giorni in Crimea, in seguito a un probabile sabotaggio, è venuta a mancare l’energia. Per Vladimir Putin, che ha annesso la provincia con la forza, è stato un insulto. Che ha peggiorato i rapporti con gli occidentali anche su quel fronte. Il quale stava stabilizzandosi. Ed è naturale che i sospetti ricadano sugli ucraini, i quali come i turchi non vogliono che Vladimir Putin raggiunga un’intesa con Barack Obama, il loro protettore. La tragedia mediorientale non trattiene i suoi veleni. Atteso oggi a Mosca per consolidare l’alleanza tra l’Occidente e la Russia, François Hollande dovrà faticare per tentare di ricurcirla.


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