Un patto tra Obama e Putin “Ora spazzeremo via l’Is” I caccia francesi in Siria guidati dall’intelligence Usa

by redazione | 16 Novembre 2015 9:54

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ANTALYA. L’orrore di Parigi monopolizza il vertice G20. E fa maturare una svolta impensabile poche settimane fa. E’ l’avvicinamento tra Barack Obama e Vladimir Putin per combattere lo Stato Islamico, che ora preferiscono chiamare Daesh. Contro il nemico comune, il pericolo numero uno, si delinea un’alleanza tra i due leader reduci da un lunghissimo gelo. Intanto la Francia passa all’azione: a Raqqa centra la base di comando dell’Is nella capitale siriana del gruppo, con raid che impegnano dieci jet, guidati dall’intelligence Usa e in coordinamento con gli americani. Nella pioggia di fuoco colpito anche il centro di addestramento e un altro per il reclutamento.
«I cieli sono stati oscurati dall’orrendo attacco su Parigi – dice Obama al suo arrivo ad Antalya – è un attacco contro il mondo civilizzato. Il terrorismo non risparmia nessuno, è una minaccia per tutti noi. Raddoppieremo i nostri sforzi per eliminare Daesh». (Questo termine è preferito dagli alleati arabi perché ha un connotato spregiativo). Gli fa eco il padrone di casa, il presidente turco Erdogan, con una frase che diventa un impegno per tutto il G20: «Questo vertice è segnato da Parigi, da qui uscirà un messaggio forte».
La novità più rilevante emerge dal colloquio informale, ai margini del summit, tra Obama e Putin. Un fuori programma denso di novità, e di conseguenze. Un colloquio lungo (35 minuti), intenso, quasi confidenziale, tra i due presidenti: seduti uno di fronte all’altro, chinati per essere più vicini, a sussurrarsi cose che solo gli interpreti possano udire e tradurre. Uno stretto collaboratore di Obama riassume così il contenuto: «E’ stata una discussione costruttiva, centrata sugli sforzi per risolvere la guerra in Siria, un imperativo reso tanto più urgente dall’orribile attacco terroristico di Parigi. Obama ha riconosciuto l’importanza degli sforzi militari che la Russia sta conducendo contro lo Stato Islamico in Siria. Ed ha espresso il suo profondo cordoglio per le vittime russe dopo la caduta dell’aereo sul Sinai». Novità di tono e di sostanza. L’ultima volta che Obama e Putin si erano visti era a fine settembre a New York all’assemblea Onu. Fu un colloquio gelido, teso, inconcludente. Subito dopo Putin lanciò i raid russi sulla Siria, attirandosi accuse dagli americani. Secondo Washington quei bombardamenti servivano solo a puntellare Assad, non colpivano lo Stato Islamico, prendevano di mira ribelli moderati e filo-occidentali. Ma da allora lo scenario è cambiato, costringendo tutti a rivedere le proprie posizioni. L’esplosione nei cieli del jet russo partito da Sharm el-Sheik è stata l’avvisaglia del prezzo che i jihadisti possono infliggere alla Russia. Putin – notano i consiglieri di Obama – non ha ancora ammesso davanti al popolo russo che quell’attentato appartiene a Daesh. Inoltre Putin sarebbe deluso dai risultati modesti della sua offensiva militare in Siria. A Vienna, i due ministri degli Esteri americano e russo, John Kerry e Sergei Lavrov, hanno trovato un accordo per una transizione a Damasco. Verso un governo di unità nazionale che includa Assad; cessate il fuoco da gennaio; elezioni sotto controllo Onu, nuova Costituzione. Assad se ne andrà, ma la priorità ora non è disfarsi di lui: è unire le forze contro i jihadisti. Infine Parigi: un colpo durissimo contro una nazione che partecipa in prima linea alla coalizione guidata da Obama. Una prova che l’intero Occidente è esposto. Un segnale che Daesh, proprio mentre subisce sconfitte militari nelle sue aree (la città di Sinjar in Iraq riconquistata dai peshmerga curdi), proprio mentre perde alcuni leader uccisi dai raid americani in Iraq e in Libia, porta la sua guerra all’estero, allarga il raggio d’azione. La Casa Bianca teorizza – e teme – che proprio le sconfitte sul terreno in Iraq e Siria spingano Daesh a “diversificarsi” nel terrorismo globale. Dal jet russo esploso in volo alla carneficina di Parigi, è la realtà a spingere Obama e Putin uno nelle braccia dell’altro. Mai prima d’ora Obama aveva dato atto che l’intervento militare russo in Siria è “importante”. Lo fa sperando che i raid russi si concentrino sull’obiettivo giusto. In cambio l’America accetta che Assad sia parte della transizione verso un accordo di pace, che i suoi rappresentanti dal primo gennaio siedano a Vienna con gli esponenti dell’opposizione, in un tavolo di negoziato “benedetto” da Mosca e Washington.
L’accordo Obama-Putin, di cui si fanno le prove generali qui al G20 di Antalya, è condizione necessaria ma non sufficiente, perché la coalizione contro Daesh passi ad una velocità superiore, moltiplichi la propria efficacia, fino a sconfiggere la centrale del terrore. Da Washington, dove la strage di Parigi è tema di campagna elettorale, l’ex segretario di Stato Hillary Clinton esorta Obama a darsi come obiettivo proprio la sconfitta finale di Daesh, non il suo semplice “contenimento”.
Quali altri attori sono chiamati ad un ruolo più incisivo? La Francia ha già dimostrato che da questo momento aumenta molto i suoi raid aerei sulla Siria. Ma una lotta efficace contro Daesh deve coinvolgere le potenze regionali. A cominciare dalla Turchia che ha un vasto confine con la Siria a soli 500 km dalla sede di questo vertice. Erdogan non manca di sottolineare le gravi distrazioni di noi occidentali, quando ricorda a Obama che «prima di Parigi ci fuono stragi ad Ankara, Antep, Suruc, Diyarbakir». O Beirut. Ma per Erdogan non è solo Daesh il nemico, lui considera terroristi quei curdi che invece sono l’unica armata terrestre a sconfiggere regolarmente Daesh. Turchia, Arabia saudita, devono entrare nel gioco di Putin- Obama. Infine un messaggio agli europei, che la delegazione americana consegna ai margini di questo G20: dopo avere demonizzato lo spionaggio digitale made in Usa, le sconfitte dell’intelligence francese dovrebbero indurre un ripensamento su quel fronte.
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