Migranti, chiude il centro che ha mobilitato Roma

Migranti, chiude il centro che ha mobilitato Roma

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ROMA. Lacrime, applausi. Tanti abbracci. Una signora fa ancora in tempo a consegnare una busta con degli abiti puliti prima che i volontari girino per l’ultima volta la chiave nella toppa. Alle 14.13 di ieri il centro Baobab di Roma ha chiuso. Nessun migrante dormirà più nelle stanze di quel polo dell’accoglienza nato a fine maggio per l’iniziativa spontanea di un gruppo di giovani, che da allora ha ospitato 35mila persone.
Una sentenza del Tar impone al Comune la restituzione dei locali ai proprietari delle mura entro il 30 aprile. All’esterno della palazzina in via Cupa, una lingua d’asfalto che incrocia la Tiburtina, resterà un camper, una postazione mobile per fornire le prime informazioni utili ai transitanti appena arrivati a Roma. In attesa che il Commissario del Campidoglio, Francesco Paolo Tronca, individui una nuova struttura dove far nascere un progetto stabile per l’accoglienza.
Gli ultimi 25 migranti rimasti sono stati presi in carico ieri dal dipartimento alle politiche sociali del Campidoglio. Tra loro Kabanda, un ingegnere, laureato in Congo, arrivato a Roma per cercare lavoro con un regolare permesso di soggiorno e che di andar via dal Baobab per finire in uno dei centri aperti per l’emergenza freddo proprio non ne voleva sapere. Ha abbracciato i tanti volontari, cuochi, medici, avvocati e studenti che si sono presi in carico la gestione dell’immobile, punto di riferimento per i “transitanti” a Roma: in maggioranza giovani scappati dal Corno d’Africa e che puntano al Nord Europa.
Per facilitare gli spostamenti e aiutare le donne sole con i bambini, i volontari hanno creato una rete che mette in collegamento Roma con Milano, Bolzano e Ventimiglia.
Arrivi e partenze venivano appuntati su un registro. A ogni nuovo ospite spettava il kit di benvenuto (abiti, sapone, fazzoletti, dentifricio e spazzolino) e quello di partenza: uno zaino con dentro acqua, biscotti e altre piccole cose utili per il viaggio. Un lavoro meticoloso, possibile grazie alle centinaia di persone che dallo scoppio dell’emergenza profughi intorno alla stazione Tiburtina (centinaia di uomini e donne a dormire per strada tra maggio e giugno), hanno tamponato un problema, coprendo anche i ritardi del Comune che ha allestito una tendopoli e annunciato (al momento solo quello) l’apertura di una struttura stabile.
«Così la cittadinanza ha provato a dare un senso nuovo all’accoglienza — racconta Roberto Viviani, uno dei coordinatori del centro — questa chiusura è il preludio di un nuovo inizio».


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