E Boschi resta dietro le quinte: dimissioni? Richiesta immotivata

E Boschi resta dietro le quinte: dimissioni? Richiesta immotivata

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FIRENZE La botta è stata «molto pesante», ma il giorno più nero è alle spalle. Dietro le blindatissime quinte della «sua» Leopolda, nella domenica di chiusura la madrina della kermesse turbo-renziana è tornata quella di sempre. «Forte, solida, determinata» e pronta ad affrontare una richiesta di dimissioni (presentata da M5S, Forza Italia e Lega) giudicata «inesistente, visti i numeri». E che comunque affronterebbe «a testa alta». I colleghi che l’hanno vista «impartire ordini» nella sala riservata dietro al palco la raccontano così, eppure per Maria Elena Boschi la Leopolda numero 6 è una pagina di album da strappare.
«È stata ferita, ma è sulla via della guarigione — assicura un esponente del Pd che le vuole bene —. Questa storia la renderà più forte e le farà capire che non tutti sono amici». Proprio al culmine di una stagione politica che, a soli 34 anni, l’ha vista in vorticosa ascesa, fino a essere indicata come una delle donne più influenti d’Europa, la numero due del governo ha subìto uno sfregio, il primo, alla sua immagine pubblica. Si è sentita strumentalizzata, usata per colpire l’esecutivo e quel che più le ha fatto male è che in mezzo ci sia finita la sua famiglia. «Soffro per mio padre e mia madre — ha confidato a ogni abbraccio, a ogni buffetto di solidarietà che le è arrivato nelle ore più dure —. Mi sento in colpa perché la mia famiglia è stata tirata in mezzo, anche se io non devo giustificarmi di nulla». E ancora, su Pier Luigi Boschi: «La cosa che mi fa più male è che babbo era stato chiamato a fare il vicepresidente di Banca Etruria per dare una mano, perché ritenuto persona capace e affidabile. Ha accettato con spirito di servizio e ha tentato di recuperare le cose. Ma ormai era tardi. Ed è stato lì otto mesi scarsi…». Nessun favoritismo, continua a ripetere la ministra ai collaboratori. Nessuno scheletro nell’armadio. E se l’inchiesta punta in alto, lei assicura di sentirsi «tranquillissima», certa che il «conflitto di interessi abnorme» denunciato da Roberto Saviano sia solo nella testa dello scrittore. «Un attacco frontale, una pura cattiveria che non credo di meritare», avrebbe confidato via sms agli amici la ex ragazza di Laterina. Renzi e Padoan hanno parlato di sciacallaggio. Lei no. E nello staff spiegano che la «strategia del silenzio», che ha tenuto «Meb» (così la chiamano i «leopoldini» storici) lontana dai riflettori a rischio di alimentare voci e sospetti, è una scelta ragionata, per schivare domande e risposte che avrebbero fatto da cassa di risonanza a sospetti e «ricostruzioni fantasiose».
Niente bagno di folla nell’immenso salone ristorante, niente selfie da portare a casa per ricordo. Meglio concentrarsi sulla legge di Stabilità e «sparire» per un po’ dalla scena, giusto il tempo di ritrovare colore e spavalderia anche grazie al cordone di sicurezza che l’ha tenuta lontana da telecamere, microfoni e taccuini. Sabato però la giornata è stata durissima. Maria Elena, descritta come «assai nervosa» e «molto provata umanamente», è arrivata nella ex stazione culla del renzismo all’ultimo minuto, per ridurre al minimo l’esposizione. Ha recitato lo studiatissimo copione e si è dileguata, senza pronunciare la parola banche. E senza che Renzi sia comparso al suo fianco per esprimerle sostegno.
Ma se qualche commentatore ci ha visto una presa di distanza da parte del presidente del Consiglio, la scena finale di ieri ricompone il quadro. La ministra è alla destra del palco assieme a Padoan, Giannini, Scalfarotto, Taddei, Faraone… Tubino grigio, stivali neri senza calze e un sorriso largo così, perché alla fine tutti possano vedere che «va tutto bene, non abbiamo nulla da nascondere».
Monica Guerzoni


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