La spinta dell’Onu per la Libia «Sostegno al governo d’unità»

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NEW YORK Un paio di correzioni suggerite dai diplomatici russi e poi via libera alla risoluzione sulla Libia. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu l’ha approvata all’unanimità nella serata di ieri. Il testo riconosce, innanzitutto, l’accordo firmato dalle fazioni libiche di Tripoli e Tobruk lo scorso 17 dicembre a Skhirat, in Marocco.
I venti punti del documento indicano quale dovrà essere la prospettiva della Nuova Libia. Entro il 17 gennaio l’esecutivo di transizione, il Consiglio di Presidenza, dovrà formare un governo di unità nazionale con sede a Tripoli. È il passo più difficile: vuol dire ricondurre le milizie, le 140 tribù sotto il tetto di uno Stato finito in frantumi nel 2011 con la cacciata di Gheddafi. L’accordo di Skhirat ha seminato divisioni. Si stima che almeno la metà dei deputati sia contraria, tanto nel Consiglio nazionale libico di Tripoli, dominato dagli islamisti, quanto nel Parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto a livello internazionale. I rappresentanti dei due organismi rivali hanno inviato una lettera al segretario dell’Onu, Ban Ki-moon per lamentare di essere stati tagliati fuori dall’intesa di Skhirat. La diplomazia russa ha ottenuto di discuterne nella riunione ristretta del Consiglio di sicurezza, tra i cinque membri permanenti (Stati Uniti, Cina, Francia, Gran Bretagna e appunto Russia). Risultato: una versione più morbida del punto 5 della risoluzione, dove si invitano «tutti i protagonisti» della crisi libica a «impegnarsi in modo costruttivo» con le nuove istituzioni nazionali.
In questa prima fase il punto di riferimento sarà l’inviato Onu per la Libia, il tedesco Martin Kobler. Il Consiglio di Sicurezza «si appella a tutti gli Stati membri affinché sostengano gli sforzi per dare efficacia al governo di unità nazionale». Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, ieri, ha subito telefonato al premier designato, Fayez al Serraj, assicurando che l’Italia «è pronta a sostenere l’accordo di concordia nazionale secondo le necessità che verranno manifestate dal popolo libico».
Nello stesso tempo, però, la comunità mondiale insiste su un passaggio fondamentale: non ci possono essere alternative al percorso individuato a Skhirat. Ecco allora che sempre al punto numero 5 si legge: «Si fa appello a tutti gli Stati membri a interrompere ogni azione di sostegno con le istituzioni parallele che rivendicano un’autorità legittima al di fuori del quadro delineato dall’Accordo». Qui si chiede a Egitto ed Emirati di interrompere i collegamenti con Tobruk e a Turchia e Qatar di fare altrettanto con Tripoli. Ci sarà, poi, il problema di riportare sotto il controllo del nuovo governo l’esercito del generale Haftar, oggi di stanza a Bengasi e largamente appoggiato dal presidente egiziano, Al Sisi. Qualsiasi missione internazionale, umanitaria o militare, dovrà essere sollecitata da Tripoli. È scritto con chiarezza nella risoluzione, a scanso di equivoci.
I venti punti del documento indicano quale dovrà essere la prospettiva della Nuova Libia. Entro il 17 gennaio l’esecutivo di transizione, il Consiglio di Presidenza, dovrà formare un governo di unità nazionale con sede a Tripoli. È il passo più difficile: vuol dire ricondurre le milizie, le 140 tribù sotto il tetto di uno Stato finito in frantumi nel 2011 con la cacciata di Gheddafi. L’accordo di Skhirat ha seminato divisioni. Si stima che almeno la metà dei deputati sia contraria, tanto nel Consiglio nazionale libico di Tripoli, dominato dagli islamisti, quanto nel Parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto a livello internazionale. I rappresentanti dei due organismi rivali hanno inviato una lettera al segretario dell’Onu, Ban Ki-moon per lamentare di essere stati tagliati fuori dall’intesa di Skhirat. La diplomazia russa ha ottenuto di discuterne nella riunione ristretta del Consiglio di sicurezza, tra i cinque membri permanenti (Stati Uniti, Cina, Francia, Gran Bretagna e appunto Russia). Risultato: una versione più morbida del punto 5 della risoluzione, dove si invitano «tutti i protagonisti» della crisi libica a «impegnarsi in modo costruttivo» con le nuove istituzioni nazionali.
In questa prima fase il punto di riferimento sarà l’inviato Onu per la Libia, il tedesco Martin Kobler. Il Consiglio di Sicurezza «si appella a tutti gli Stati membri affinché sostengano gli sforzi per dare efficacia al governo di unità nazionale». Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, ieri, ha subito telefonato al premier designato, Fayez al Serraj, assicurando che l’Italia «è pronta a sostenere l’accordo di concordia nazionale secondo le necessità che verranno manifestate dal popolo libico».
Nello stesso tempo, però, la comunità mondiale insiste su un passaggio fondamentale: non ci possono essere alternative al percorso individuato a Skhirat. Ecco allora che sempre al punto numero 5 si legge: «Si fa appello a tutti gli Stati membri a interrompere ogni azione di sostegno con le istituzioni parallele che rivendicano un’autorità legittima al di fuori del quadro delineato dall’Accordo». Qui si chiede a Egitto ed Emirati di interrompere i collegamenti con Tobruk e a Turchia e Qatar di fare altrettanto con Tripoli. Ci sarà, poi, il problema di riportare sotto il controllo del nuovo governo l’esercito del generale Haftar, oggi di stanza a Bengasi e largamente appoggiato dal presidente egiziano, Al Sisi. Qualsiasi missione internazionale, umanitaria o militare, dovrà essere sollecitata da Tripoli. È scritto con chiarezza nella risoluzione, a scanso di equivoci.
Giuseppe Sarcina
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