“Da quel naufragio alla nostra fuga infinita” L’odissea della famiglia del piccolo Alan

“Da quel naufragio alla nostra fuga infinita” L’odissea della famiglia del piccolo Alan

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ISTANBUL. Quando il suo corpicino è arrivato a riva portato dal mare, su una spiaggia della Turchia,costringendo il mondo a prendere atto del dramma dei rifugiati siriani, Alan Kurdi era un bambino di due anni parte di una famiglia dispersa. Mentre un funzionario turco prendeva in braccio il suo corpo, uno dei suoi cugini adolescenti viaggiava da solo su un bus in Ungheria, e una zia bloccata a Istanbul allattava il figlio piccolo mentre i maggiori lavoravano 18 ore al giorno per sostentare la famiglia. Poche settimane dopo, un’altra zia, Hivrun, si è preparata a salpare con i quattro figli per quel medesimo viaggio. Sua figlia, 15 anni, disse: «Moriremo insieme o insieme vivremo e ci costruiremo un nuovo futuro».
Dalle interviste realizzate con 20 parenti nel Kurdistan iracheno, a Istanbul, in Germania e in Siria, emerge la storia di una famiglia, quella Kurdi, fatta a pezzi dal conflitto. Il nonno di Alan era nato a Kobane, a maggioranza curda. Arrivato a Damasco in cerca di lavoro, ha aperto un negozio da barbiere nel quartiere di Rukineddine a maggioranza curda e si è sposato avendo sei figli. La prima a emigrare fu la maggiore, Fatima: nel 1992 era in Canada sposata a un curdo iracheno dal quale divorziò presto, tirando su da sola un figlio. Con licenza da parrucchiera e cittadinanza, quando è scoppiata la guerra ha procurato ai fratelli i piani e i mezzi per cercare asilo ed è diventata il loro punto di riferimento a distanza.
La guerra ha raggiunto la capitale siriana nella primavera del 2011, mentre Abdullah Kurdi stava mettendo su famiglia con la moglie Rihanna, che si trasferì a Kobane per far nascere Ghalib, fratello maggiore di Alan. Abdullah faceva la spola per far visita a moglie e figlio e lavorare nel negozio di barbiere. La fuga per Kobane iniziò quando due giovani della famiglia videro un attentato kamikaze e una scheggia si è conficcò nella gamba di uno di loro. All’ospedale la polizia segreta chiese di parlare con i genitori. E loro partirono. Kobane in quel periodo sembrava offrire protezione. Abdullah si è trasferito per lavoro a Istanbul. Per qualche tempo Ghousoun e i suoi hanno vissuto in un ovile, importando vestiti da Damasco. Ma è arrivata un’altra minaccia: lo Stato Islamico. I vari “pezzi” della famiglia Kurdi sono così scappati in direzione della Turchia. Alcuni di loro sono rimasti bloccati fra l’Is e il confine. Dei combattenti hanno catturato il fratello di Abdullah, Mohammad, marito di Ghousoun. «Lo hanno picchiato con il calcio di un fucile», ha raccontato lei, «e dato a mio figlio Shergo, quindicenne, una pistola intimandogli di sparare al padre». La donna li ha supplicati e «non si sa come, si sono impietositi ». L’intero gruppo ha cercato di passare la frontiera: molti furono respinti, ma una signora curda sul versante turco ha nascosto la famiglia di Ghousoun nella stalla. Abdullah era riuscito a spedire soldi alla famiglia da Istanbul. Lavorava 12 ore per 9 dollari. La sorella Hivrun faceva la cameriera negli alberghi, Ghousun la lavapiatti. La possibilità di raggiungere l’Europa e poi il Nord America sembrava lontana. In Canada la zia di Alan, Fatima, mise insieme 20mila dollari per la richiesta di asilo di Mohammad con moglie e figli. Ma il Canada voleva un documento della condizione di rifugiati, che ai siriani la Turchia non rilascia. Hivrun ha chiesto di poter andare in Germania ma l’appuntamento per il primo colloquio sarebbe stato nel 2016. In mancanza di alternative, Abdullah, Mohammad e Shergo hanno guadato un fiume per raggiungere la Grecia. La polizia li ha rispediti indietro. A giugno Mohammad si è imbarcato di nuovo, è arrivato in Germania. Yasser, cugino di Alan, 16 anni, è scappato da Damasco per sottrarsi alla leva. Anche lui si è imbarcato.
Hivrun e suo marito erano stati i primi a prendere il mare con i quattro figli: due tentativi. Al primo il motore del gommone si è rotto, al secondo l’acqua ha iniziato a salire all’interno del gommone in mare aperto. Hi- vrun ha urlato per ricevere soccorso. Il marito e i figli grandi volevano riprovare , ma lei si è rifiutata, ha riportato i bambini a Istanbul e soltanto suo marito e suo nipote sono partiti per la Grecia. Poco tempo dopo ha tentato la traversata Abdullah con la sua famiglia.
L’annegamento di Alan con madre e fratello ha contribuito a far aprire le porte ai siriani. Ma niente di tutto questo ha potuto alleviare il peso della famiglia Kurdi.
Nella cittadina di Villingen, in Germania, Mohammad, era preoccupato per la sua famiglia rimasta a Istanbul. Una sera ha confidato il suo dilemma: poteva servire un anno o più, per farli emigrare legalmente. «La cosa più importante è stare insieme», ha concluso. Per lo stesso motivo Hivrun ha rotto il voto di non ripartire e si è messa in viaggio di nuovo: questa volta lei e i figli ce l’hanno fatta.
A Meppen, in Germania, pochi giorni dopo i suoi bambini hanno raccontato i terribili momenti a bordo del gommone. Il loro papà era bloccato in un campo diverso, a tre ore di distanza, ma dopo aver chiesto più volte alle autorità hanno potuto trasferirsi tutti in un appartamento. Vicino Heidelberg, Yasser, minore non accompagnato,può seguire corsi di falegnameria, parla un tedesco accettabile e ha una ragazza tedesca. Ghousoum e Mohammad dovrebbero riabbracciarsi in Canada presto.
Fatima ha un lavoro nel suo negozio da parrucchiera per il fratello. Sull’insegna c’è scritto “Kurdi”. «La gente avrà sempre bisogno di un taglio di capelli», dice Fatima. La famiglia di Alan spera ancora di farcela a ritrovarsi.
Traduzione di Anna Bissanti © 2015 The New York Times


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