Una legge di stabilità senza ambizioni e con tante mance

Una legge di stabilità senza ambizioni e con tante mance

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Legge di stabilità in buca. E incassa al Senato con 154 voti favorevoli, 9 contrari e nessun astenuto un’altra fiducia su un provvedimento privo di ambizioni, inutile per la crescita e per la lotta contro la povertà e le disuguaglianze, fin troppo timoroso verso la Troika che ha sospeso il giudizio sugli sbilanci provocati dalle mance elettoralistiche su casa, «cultura» e «sicurezza» che valgono uno 0,2% del Pil con il deficit che passa dal 2,2 al 2,4 per cento. In primavera il deficit tendenziale era stimato all’1,4%. Queste misure, decise dopo gli attentati di Parigi, hanno obbligato Renzi a smentire un’altra delle sue promesse: la riduzione dell’aliquota Ires per le imprese al 24,5% dal 2016. è stata rinviata al 2017.
Un provvedimento partito con i fuochi artificiali del taglio dell’Imu-Tasi sulla prima casa – nella speranza che le famiglie tornino a spendere e non mettano i soldi in banca — e chiuso in sordina con i tagli da 2,3 miliardi alla sanità: il finanziamento del sistema sanitario nazionale era a quota 113 miliardi e 97 milioni, oggi è passato a 111 miliardi. La manovra prepara tempi bui per la sanità: i tagli si sommano a quelli alle regioni per 3,9 miliardi nel 2017 e 5,4 fino al 2019. L’esito sarà l’aumento dei ticket, tagli a servizi e trasporto pubblico con un impatto devastante sulle fasce deboli della popolazione. La stessa ricetta dei «quattro governi del disastro» da Berlusconi a Renzi – la definizione era di Luciano Gallino – ammantata da improbabile modernità renziana. Seimila le assunzioni previste nel comparto.

Nella politica dei bonus al lavoro dipendente, agli insegnanti e agli italiani che compiono 18 anni nel 2016 (c’è un ordine del giorno Pd che chiede di estenderlo agli studenti residenti e agli extracomunitari con carta di soggiorno), non c’è spazio per un intervento universalistico contro la povertà e la precarietà dilarghe fasce di giovani e lavoratori poveri. Appena 600 milioni i soldi destinati a misure frammentarie e assistenzialistiche. La strada è quella del duo Berlusconi-Tremonti con la social card: un provvedimento irrilevante e inefficace per affrontare i casi gravi di povertà assoluta e deprivazione. Tra poco l’Italia resterà l’unico paese in Europa a non avere un reddito minimo, visto che la Troika ha imposto alla Grecia di Tsipras di istituire una misura simile. Un paese dimenticato dalla civiltà dei diritti, questa è l’eredità che Renzi consegna all’anno che viene.

Quella del governo è una scommessa mal posta che rischia di perdere il tempo della «ripresa» dettata dal Quantitative easing di Draghi che oggi risulta inefficace, il deprezzamento dell’euro, il minor costo del petrolio. La congiuntura «favorevole» si sta chiudendo: difficile sperare di mantenere la promessa fantascientifica di una crescita dell’1,6% nel 2016. Il ballo dei decimali, senza nuova occupazione fissa, quest’anno si chiuderà allo 0,8%. Si sa che Renzi intrattiene con i numeri e la realtà un rapporto impaziente e frustrato. C’è da dire però che tutti, anche Bankitalia, lo hanno avvertito: l’anno prossimo la «stagnazione secolare» tornerà a farsi sentire. La Corte dei Conti e l’ufficio parlamentare del bilancio hanno sottoscritto. In più il governo ha rimandato le grane al 2016, com’è ormai costume.

I tanto vantati tagli alle tasse (4,5 miliardi) sono una parte esigua di una manovra da oltre 35,4 miliardi di euro, gran parte dei quali occupati dalla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia. Anche a questo giro è stato evitato un loro aumento, ma solo per un anno. Costo 16,8 miliardi. L’anno prossimo, entro il 23 dicembre, il governo avrà dovuto trovare un’altra soluzione. Sempre che in primavera la Troika sia accomodante e non si sia fatta irritare dalle gomitate di Renzi, scolaro discolo, contro la maestra Merkel e l’idea germanocentrica dell’Europa.

Gli affanni della legge di bilancio sono provocati anche dai veri problemi politici per il governo. Per il caso Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti previsto un fondo di solidarietà da 100 milioni a favore degli obbligazionisti subordinati che hanno perso i loro risparmi. Del tutto insufficienti. Sul capitolo investimenti il voto è zero. La ricetta è sempre quella fallimentare: politica dell’offerta, sgravi alle imprese per le assunzioni targate Jobs Act (in diminuzione nel 2016), delega al buon cuore del privato. Nessuna visione reale, e immediatamente esecutiva, per gli investimenti a Sud. Discutibili, le misure per la ricerca: l’assunzione di oltre 1500 ricercatori – 500 quelli «eccellenti» e ad «alta velocità» – è mera cosmesi scandalosa: questi ultimi potranno essere assunti senza abilitazione nazionale. Ne servirebbero 10 mila in un anno, con una decisa riforma del reclutamento baronale, lasciato intatto dalla «riforma» Gelmini. Irrilevante è l’aumento di 55 milioni per il fondo al diritto allo studio. Ne servirebbero 200, fanno notare gli studenti di Link e dell’Udu.

«Non ci sono investimenti, non si affronta il tema del Mezzogiorno, non investe sul lavoro dei giovani» è il giudizio del segretario Cgil Susanna Camusso. «Permane il problema dell’assoluta insufficienza delle risorse per il rinnovo del contratto del pubblico impiego, nonostante la sentenza della Consulta» aggiunge Carmelo Barbagallo (Uil). Più positiva Anna Maria Furlan della Cisl sull’anticipo di un anno della «no tax area» per i pensionati. Una misura finanziata da una riduzione del fondo sociale per l’occupazione e la formazione. L’Italia con il segno più non svolterà nel 2016.



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