È la fine dei sogni di ripresa europei?
«La ripresa in Europa non è esaltante ma c’è ed è in via di rafforzamento. In Italia, per esempio, la mia società Now-Casting stima che nel 2015 si sia andati meglio dello 0,9% previsto dall’Istat. I dati recenti sono stati più positivi delle aspettative di pochi mesi fa e abbiamo rivisto la stima del Pil al rialzo, diciamo intorno all’1%».
Per l’Europa gli organismi internazionali prevedono un 2016 con una ripresa dell’1,5-1,6%: è il caso di tenere ferme queste previsioni o già tira aria di revisione?
«Le previsioni non vanno riviste, però se ci dovesse essere un’escalation del conflitto in Medio Oriente che investisse l’Europa, il quadro cambierebbe. Chiaramente il mercato è nervoso. Possiamo onestamente dire che, date le condizioni di oggi, è probabile che la ripresa si rafforzi nel 2016. Tutto potrebbe cambiare però se si verificasse una situazione che oggi sembra possibile ma fortunatamente a bassa probabilità».
Ma quale fattore ha contribuito di più ai ribassi di ieri, la Cina o l’Iran?
«Senz’altro quest’ultimo. Un’escalation del conflitto in quell’area è un pericolo reale che avrebbe conseguenze devastanti per l’Europa. Sulla Cina invece sono relativamente ottimista. È vero che ci sono rischi finanziari e un rallentamento inevitabile rispetto al ventennio precedente, ma sono problemi affrontabili con politiche appropriate. La congiuntura sorprenderà al rialzo».
Un’altra paura circola fra gli economisti: i mercati sono nervosi perché la Yellen è poco carismatica a differenza di Bernanke e Draghi, e sulle linee-guida della Fed non c’è certezza.
«Gli economisti sono sempre stati maschilisti… scherzo ma mi sembra veramente ingiusta quest’osservazione. Ci siamo forse scordati i momenti difficili di Draghi e Bernanke? Come è venuto fuori dalle “minute” c’è un grande consenso nel board sull’operato della Yellen. La situazione è oggettivamente difficile: gli Usa sono da qualche anno in ripresa che ora dà segni di rallentamento, i Paesi emergenti sono in difficoltà, l’Europa riparte lentamente. Tutto ciò combinato a un debito mondiale in aumento e ai conflitti geopolitici».
A proposito di Draghi, sono state accolte le sue richieste perché alle misure monetarie si affianchi una politica efficiente?
«Non mi pare proprio. Spero che i governi della zona euro riescano a trovare la forza e la coesione per iniziative coraggiose. Purtroppo non sono ottimista e vedo il pericolo di una situazione in cui troppo peso ricade sull’azione della Bce. La banca sta comportandosi al meglio, il quantitative easing è una misura necessaria in questa situazione di bassa inflazione ma non è sufficiente per rilanciare con vigore la ripresa. La politica monetaria non basta, ma è rimasta l’unico punto fermo in un’Europa che sta sempre più balcanizzandosi e non riesce più ad esprimere una posizione comune su nulla, dal completamento dell’unione bancaria con le modalità del fondo di garanzia sui depositi che sembrano impossibili da concordare, fino alle politiche sui migranti e sulle frontiere».