La Bomba coreana fa tremare l’Asia I dubbi dell’America sull’annuncio

La Bomba coreana fa tremare l’Asia I dubbi dell’America sull’annuncio

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PECHINO Una presentatrice tv in abito tradizionale di colore rosa ha annunciato ai nordcoreani e al mondo che «il primo test con la Bomba H è stato effettuato con successo alle ore 10 del giorno 6 gennaio». Sono seguiti elogi alla leadership di Kim Jong-un, che domani compie gli anni (forse 33) e la definizione politica dell’ordigno: «Bomba H di giustizia che eleva la potenza nucleare del Paese allo stadio successivo». La prima domanda, come sempre di fronte alla operazioni compiute in Corea del Nord, il Paese più isolato del mondo, è se si sia davvero trattato di una bomba all’idrogeno, nota anche come termonucleare. Per tre volte, nel 2006, 2009 e 2013, erano stati annunciati test nucleari sotterranei, che avevano creato onde sismiche anomale rilevate dalle stazioni internazionali. Ieri gli osservatori americani hanno registrato una scossa pari a 5,1 gradi Richter, la stessa potenza dell’esplosione nucleare «convenzionale» del 2013.
L’intelligence di Washington dice che ci vorranno settimane per verificare se si sia trattato davvero di una Bomba H e per la Casa Bianca le prime analisi lo escludono. Anche gli analisti militari sono scettici: Bruce Bennett della Rand Corporation ha detto che «il bang prodotto sarebbe dovuto essere dieci volte più forte, quindi o Kim Jong-un mente o il test con l’idrogeno non ha funzionato bene». Il cinese Du Wenlong ha detto alla Cctv di Pechino che i dati non tornano. Scetticismo condiviso da Seul.
La differenza è grande sotto l’aspetto del sistema tecnico usato per causare l’esplosione nucleare (fissione o fusione) e della potenza. Ma da un punto di vista politico e di sicurezza tutto sommato conta poco: il regime di Kim Jong-un, dittatore ereditario e imprevedibile della Corea del Nord, ha un arsenale di armi di distruzione di massa: secondo i cinesi almeno 20 ordigni nucleari. Accoppiato con missili dalla gittata ancora incerta. Pyongyang si vanta di avere missili capaci di raggiungere le città americane, anche se l’intelligence occidentale dubita. La propaganda nordcoreana ha prodotto filmati che mostrano New York sotto un diluvio di missili.
Il test nucleare all’idrogeno (o a quel che sia stato) è dunque una sfida minacciosa agli Stati Uniti, alla Corea del Sud, al Giappone, ma anche e soprattutto una prova dei limiti della capacità cinese di tenere sotto controllo l’instabile alleato. Le condanne sono arrivate unanimi: la Cina, grande protettore del regime, ha detto di non essere stata informata del piano di Kim e «si oppone con forza»; il Giappone parla di «grande minaccia»; gli Usa ribadiscono di essere pronti a «rispondere appropriatamente a ogni provocazione»; anche la Russia parla di «grave violazione della legge internazionale», però invoca colloqui. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunisce per varare un inasprimento delle sanzioni che da anni stringono inutilmente l’assedio intorno al cosiddetto «regno eremita», ultimo bastione dello stalinismo puro e duro.
Molti diplomatici internazionali guardano a Pechino per trovare una leva che disinneschi la minaccia nucleare nordcoreana. Per decenni i cinesi hanno ripetuto che il rapporto con i fratelli della Repubblica democratica popolare di Corea era come quello tra le labbra: «se quelle superiori si allontanassero da quelle inferiori la bocca soffrirebbe il freddo». Ma da quando c’è Kim Jong-un al potere il freddo è arrivato. Il giovane dittatore è in sella dal dicembre 2011 (dopo quattro anni non si può più definire inesperto); a Pechino Xi Jinping è in carica dal novembre 2012. I due non si sono mai incontrati. Xi è il leader cinese che ha viaggiato di più nel mondo, ma non ha messo piede a Pyongyang. E Kim si è tenuto lontano da Pechino, anche quando a settembre dell’anno scorso era stato invitato alla grande parata sulla Tienanmen. La Cina ha a più riprese segnalato fastidio per la condotta destabilizzante dell’alleato: anzitutto i test di armi nucleari sono condotti a ridosso del confine cinese, con possibili ricadute. E poi, la minaccia di Kim rende sempre più necessaria la presenza militare degli Stati Uniti nella regione Asia-Pacifico che invece i cinesi ambiscono a controllare. Nuove sanzioni votate dall’Onu, con il sì della Cina, sembrano inevitabili. Ma ormai sembra troppo tardi per negoziare con i nordcoreani .
Guido Santevecchi


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