Libia, la fuga in elicottero del premier nemico dell’Isis

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Da Tripoli la sicurezza sulla strada costiera verso il confine con la Tunisia termina meno di cinquanta chilometri più a ovest, al posto di blocco che immette alla raffineria di Zawiyah. Meno di venti chilometri dopo prevale la legge della giungla: bande di sequestratori a scopo di lucro e milizie tribali rivali si fanno la guerra, cercano facili guadagni. Probabilmente una di queste ha rapito lo scorso 20 luglio i quattro dipendenti italiani della Bonatti. E da allora di loro non si sa nulla.
La novità degli ultimi giorni in queste aree è che dalla Tunisia via mare sarebbe arrivato un barcone carico di volontari stranieri di Isis, i quali adesso sarebbero insediati a Sabrata. Una volta era una ridente cittadina celebre per le rovine fenicie e romane, dove era un piacere fare il bagno guardando sul fondo i resti archeologici. Però ora sta diventando un luogo inavvicinabile, possibile roccaforte del Califfato a mezz’ora d’auto (su larga autostrada costruita dalle ditte italiane) dalla capitale.
Non va molto meglio se si cerca di andare lungo il mare verso le province orientali della Cirenaica. Sino a pochi giorni fa i duecento chilometri dalla capitale a Misurata erano considerati i più tranquilli del Paese, pochi posti di blocco con i miliziani rilassati e buon asfalto sul tragitto centrale di quella che in epoca di occupazione fascista era nota come la «Balbia». Non è un mistero che le milizie di Misurata siano le più forti nel sostegno al governo filo Fratelli Musulmani imperante a Tripoli. Ma da giovedì l’incanto si è rotto. L’attentato con il camion bomba contro la base dei cadetti della polizia a Zliten (ieri gli ultimi bilanci segnalavano 81 morti), oltre 160 chilometri a est della capitale, ha sconvolto la geografia della sicurezza. Emerge che a Zliten si trovano da tempo cellule nascoste di Isis: attentatori kamikaze stranieri pronti a colpire ancora. E lo stesso sarebbe a Khums, ex base della marina militare di Gheddafi, situata a soli 120 chilometri da Tripoli. Voci non confermate dalle autorità locali segnalano che l’altro ieri Faiez Serraj, neo premier del nuovo governo di unità nazionale creato il 17 dicembre sotto l’egida dell’Onu, aveva cercato di raggiungere Zliten per rendere omaggio ai morti e visitare i feriti. Da Tunisi era dunque arrivato per via aerea a Misurata, dove un convoglio di vetture doveva condurlo sul luogo dell’attentato. Pare però che Isis avesse preparato un’ambulanza imbottita di tritolo per eliminarlo. I siti Web locali riportano di una serrata caccia all’ambulanza fatta poi esplodere alla periferia di Misurata senza causare altri danni che la morte dell’aspirante kamikaze (altre fonti giornalistiche però smentiscono). Alla fine Serraj è tornato in tutta fretta in elicottero a Tunisi. «I responsabili della guardia del corpo hanno ritenuto che la sua incolumità fosse in serio pericolo. Dunque è ripartito via aria. Lui e i componenti del suo governo si sentono talmente insicuri in Libia che preferiscono lavorare in Tunisia», sostengono scettici ambienti giornalistici a Tripoli.
Emerge così che in poche settimane le nuove azioni di Isis stanno modificando profondamente la viabilità sulle strade della Libia. È sufficiente un’occhiata alla carta geografica. Da pericolo teorico Isis diventa realtà attuale del terrore. Controlla l’intera regione di Sirte, dove le tribù leali a Gheddafi si dimostrano disposte a cooperare con il Califfato, un poco come hanno fatto gli ex militari baathisti in Iraq, pur di battere le nuove autorità legate all’Onu, alla Nato e all’Occidente.
Il permanere del vuoto di potere, le lotte interne tra milizie e l’incapacità di qualsiasi autorità centrale nell’imporre il monopolio della forza facilitano inoltre l’espansione di Isis ai pozzi petroliferi e alle infrastrutture per la produzione energetica. Le sentinelle impiegate dalla compagnia nazionale petrolifera per la difesa dei silos di greggio nella centrale di Ras Lanuf e al vicino terminale sul mare di Sidra raccontano del loro terrore il 4 gennaio, quando furono prese di mira con vetture kamikaze e colpi di mortaio. Alla fine riuscirono a uccidere 5 jihadisti e a catturarne altri 7. Ma adesso un altro centinaio di chilometri a ovest di Bengasi è diventato terra di nessuno.
Lorenzo Cremonesi
La novità degli ultimi giorni in queste aree è che dalla Tunisia via mare sarebbe arrivato un barcone carico di volontari stranieri di Isis, i quali adesso sarebbero insediati a Sabrata. Una volta era una ridente cittadina celebre per le rovine fenicie e romane, dove era un piacere fare il bagno guardando sul fondo i resti archeologici. Però ora sta diventando un luogo inavvicinabile, possibile roccaforte del Califfato a mezz’ora d’auto (su larga autostrada costruita dalle ditte italiane) dalla capitale.
Non va molto meglio se si cerca di andare lungo il mare verso le province orientali della Cirenaica. Sino a pochi giorni fa i duecento chilometri dalla capitale a Misurata erano considerati i più tranquilli del Paese, pochi posti di blocco con i miliziani rilassati e buon asfalto sul tragitto centrale di quella che in epoca di occupazione fascista era nota come la «Balbia». Non è un mistero che le milizie di Misurata siano le più forti nel sostegno al governo filo Fratelli Musulmani imperante a Tripoli. Ma da giovedì l’incanto si è rotto. L’attentato con il camion bomba contro la base dei cadetti della polizia a Zliten (ieri gli ultimi bilanci segnalavano 81 morti), oltre 160 chilometri a est della capitale, ha sconvolto la geografia della sicurezza. Emerge che a Zliten si trovano da tempo cellule nascoste di Isis: attentatori kamikaze stranieri pronti a colpire ancora. E lo stesso sarebbe a Khums, ex base della marina militare di Gheddafi, situata a soli 120 chilometri da Tripoli. Voci non confermate dalle autorità locali segnalano che l’altro ieri Faiez Serraj, neo premier del nuovo governo di unità nazionale creato il 17 dicembre sotto l’egida dell’Onu, aveva cercato di raggiungere Zliten per rendere omaggio ai morti e visitare i feriti. Da Tunisi era dunque arrivato per via aerea a Misurata, dove un convoglio di vetture doveva condurlo sul luogo dell’attentato. Pare però che Isis avesse preparato un’ambulanza imbottita di tritolo per eliminarlo. I siti Web locali riportano di una serrata caccia all’ambulanza fatta poi esplodere alla periferia di Misurata senza causare altri danni che la morte dell’aspirante kamikaze (altre fonti giornalistiche però smentiscono). Alla fine Serraj è tornato in tutta fretta in elicottero a Tunisi. «I responsabili della guardia del corpo hanno ritenuto che la sua incolumità fosse in serio pericolo. Dunque è ripartito via aria. Lui e i componenti del suo governo si sentono talmente insicuri in Libia che preferiscono lavorare in Tunisia», sostengono scettici ambienti giornalistici a Tripoli.
Emerge così che in poche settimane le nuove azioni di Isis stanno modificando profondamente la viabilità sulle strade della Libia. È sufficiente un’occhiata alla carta geografica. Da pericolo teorico Isis diventa realtà attuale del terrore. Controlla l’intera regione di Sirte, dove le tribù leali a Gheddafi si dimostrano disposte a cooperare con il Califfato, un poco come hanno fatto gli ex militari baathisti in Iraq, pur di battere le nuove autorità legate all’Onu, alla Nato e all’Occidente.
Il permanere del vuoto di potere, le lotte interne tra milizie e l’incapacità di qualsiasi autorità centrale nell’imporre il monopolio della forza facilitano inoltre l’espansione di Isis ai pozzi petroliferi e alle infrastrutture per la produzione energetica. Le sentinelle impiegate dalla compagnia nazionale petrolifera per la difesa dei silos di greggio nella centrale di Ras Lanuf e al vicino terminale sul mare di Sidra raccontano del loro terrore il 4 gennaio, quando furono prese di mira con vetture kamikaze e colpi di mortaio. Alla fine riuscirono a uccidere 5 jihadisti e a catturarne altri 7. Ma adesso un altro centinaio di chilometri a ovest di Bengasi è diventato terra di nessuno.
Lorenzo Cremonesi
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