Ozpetek e la sua Istanbul «Lega l’Europa con l’Oriente Colpita al cuore come Parigi»

Ozpetek e la sua Istanbul «Lega l’Europa con l’Oriente Colpita al cuore come Parigi»

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«Sì, Istanbul come Parigi. Purtroppo. Hanno colpito un’altra città simbolo. Prima il cuore dell’Europa, adesso la Capitale che fa da ponte geografico e culturale tra l’Europa e l’Oriente. Una città che oggi è modernissima, ricca di traffici, tra poco titolare del più grande e avveniristico aeroporto del mondo. Vedo una Turchia colpita molto duramente proprio mentre tenta un decollo economico…».
Ferzan Ozpetek, regista e scrittore, è nato a Istanbul ma dal 1976 vive a Roma («quarant’anni in Italia, a settembre dovrò festeggiare»). Le radici però restano radici e l’attentato di ieri ha sconvolto i suoi pensieri e incupito i suoi progetti. In primavera partirà per il Paese natale per girare il suo primo film turco, «Rosso Istanbul» (ispirato al suo primo, omonimo libro uscito nel 2013) sceneggiato da lui con Gianni Romoli e Valia Santella. In più proprio in questi giorni è in cima alle classifiche dei libri più venduti in Turchia con «Sei la mia vita», uscito l’anno scorso in Italia da Mondadori, appassionata storia d’amore tra due uomini. Un successo, appunto, più di 60.000 copie già vendute anche se in Turchia è difficile parlare apertamente di omosessualità.
L’attentato è stato organizzato a pochi metri dalla Moschea Blu, un simbolo anche religioso di tutta la Turchia. Che ne pensa?
«Penso che nessun individuo veramente religioso potrebbe concepire qualcosa del genere. Per questo ritengo che non si possa trattare di veri islamici, ovvero di persone animate da una autentica fede. Qui parliamo di tutt’altro, di terrorismo».
Forse qualcuno può avere interesse ad allontanare la Turchia dall’ingresso in Europa?
«Ho molti amici tra gli intellettuali e i giornalisti turchi. Dico solo questo: la Turchia è un Paese ricchissimo, anche quattro volte di più di tante altre nazioni che sono già entrate nell’Unione europea. Se la Turchia davvero dovesse entrare in Europa, importanti equilibri economici cambierebbero. Anche questo pesa, e molto. Invece penso sia tempo di unirci più che mai».
Le bombe, i morti modificano fatalmente abitudini consolidate, aprono varchi a paure impensate. E un intellettuale come Ferzan Ozpetek lo sa benissimo. Soprattutto, lo vive sulla sua pelle.
«Se c’è una persona mentalmente aperta, quella sono io, accoglierei chiunque per istinto e per cultura. Ma confesso che, in un momento in cui il terrorismo internazionale ci angoscia, subisco il contraccolpo delle notizie che riceviamo. Io viaggio molto in giro per il mondo, sono stato recentemente a Parigi, poi anche in Turchia, ho raggiunto altre destinazioni, in più sono turco e dovrei essere abituato agli abbigliamenti più vari. Eppure oggi se vedo qualcuno con una barba lunga e vestito da islamico osservante, non posso fare a meno di provare un po’ di angoscia. Sicuramente irrazionale, ma non capisco perché non dobbiamo dirci con franchezza cosa può accadere nella testa di ciascuno di noi in un momento in cui il mondo sembra diviso a metà: da una parte chi vorrebbe imporre una specie di nuovo ordine internazionale, dall’altra il buio universo del terrorismo, delle bombe, dei seminatori di morte. Insomma, ogni giorno c’è metà Ferzan Ozpetek che vorrebbe restare rintanato in casa, paralizzato dalla paura, e l’altra metà che invece rivendica il diritto alla vita, ai viaggi, a uscire per strada».
Ma si può battere il terrorismo? Cosa pensa di questo tema non un politico ma un intellettuale?
«Penso che l’Europa sia molto unita nella condanna, che riesca anche a bombardare alcune aree dell’Isis. Ma tutto diventa inutile se dall’Europa, e anche dall’Italia, si continua a vendere armi a interlocutori oscuri, a comprare petrolio a basso prezzo in situazioni non chiare».
Una conclusione?
«Stiamo vivendo una grande tragedia mondiale, il pericolo è che cresca in tutti la paura dell’altro. Dobbiamo batterci perché tutto questo non avvenga».
Paolo Conti


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