Botte da orbi sull’austerità
Bruxelles. Il commissario Ue Juncker infuriato contro Matteo Renzi: «Basta attacchi offensivi all’Europa». La replica: «Non mi faccio intimidire»
Per fortuna il presidente della Commissione europea Juncker si è «tenuto in tasca il rancore e l’irritazione, che sono grandi». Se i colpi di clava che ha affibbiato ieri al premier italiano sono il segno di una rabbia tenuta a freno, cosa direbbe ove decidesse di scatenarsi per davvero? Sono davvero botte da orbi: «Renzi ha torto a vilipendere la Commissione a ogni occasione». Non si capisce poi cosa abbia da protestare: «Abbiamo introdotto una dose accresciuta di flessibilità contro la volontà di certi stati membri, soprattutto di quello che secondo lui domina l’Europa». Oltretutto, l’italiano è pure ingrato e bugiardo: «L’Italia approfitta di tutte le flessibilità introdotte». E come gli è venuto in mente, a Renzi, di accreditarsi il merito della flessibilità in questione? «Mi stupisce che abbia detto al Parlamento europeo che era stato lui. Sono stato io non lui, anche se con il suo appoggio».
Non è uno sbotto d’ira. E’ un attacco calibrato, meditato a freddo. Non che da palazzo Chigi non siano partite nell’ultimo mese bordate in quantità, ma negli ultimi giorni non c’era stato nessun nuovo attacco tale da giustificare la reazione. Il presidente della Commissione, quindi, ha voluto evitare di dare l’impressione di un rissoso botta e risposta per esaltare il carattere di monito complessivo della sua intemerata.
La replica però non si fa attendere e Renzi non arretra di un centimetro. «Non mi faccio impaurire da una dichiarazione a effetto. Diamo a Bruxelles un sacco di soldi e vogliamo che siano spesi bene. Non ci saranno conseguenze sui nostri conti», scandisce intervistato dal Tg5. Neppure sulla flessibilità la manda a dire: è firmata dalla Commissione, certo, ma «solo dopo che l’Italia la ha chiesta con molta, molta insistenza». E poi: «Il tempo dei compiti a casa e dell’Italia telecomandata da Bruxelles è finito».
Prima di lui sia la commissaria Ue Mogherini sia il ministro dell’Economia Padoan avevano adoperato toni molto più concilianti e in realtà sottomessi. La prima aveva pigolato un appello alla concordia: «E’ stupido creare divisioni all’interno dell’Europa». Il secondo si era quasi genuflesso: «E’ stata la Commissione a introdurre la flessibilità, ma con il dibattito sviluppato durante il semestre di presidenza italiana». Poi è arrivato Renzi, e lo scontro si è fatto incandescente.
E’ evidente che un conflitto frontale tanto esplicito e sciorinato in pubblico non può dipendere da una questione pur importante come quella delle banche salvate a spese dei piccoli obbligazionisti. Se mai ci fossero stati dubbi sul fatto che quello era davvero solo il casus belli, gli schiaffoni incrociati di ieri li hanno dissipati. La faccenda è ben più seria. Già più corposo il dissenso italiano sui fondi per la Turchia: «Ho difficoltà – sottolinea Juncker – a capire la riserva stupefacente dell’Italia a finanziare i 3 miliardi alla Turchia, che vanno ai rifugiati siriani, non alla Turchia stessa». Ma neppure questo fronte giustifica un botta e risposta così duro. Il punto chiave è che L’Europa non ha ingoiato la soppressione della tassa sulla casa, considerandola una manovra elettorale per finanziare la quale il premier italiano ha sprecato, secondo la Ue, il poco che aveva da investire. Peggio: secondo le voci che circolano a Bruxelles la Commissione non sarebbe del tutto convinta dai conti presentati dall’Italia.
Il problema riguarda solo in parte quel semaforo verde sulla legge di bilancio italiana per il quale bisognerà aspettare sino alla primavera. E’ probabile che alla fine la Commissione, sia pure obtorto collo, visterà una manovra della quale è sempre stata pochissimo convinta per non mettere il governo italiano troppo in difficoltà di fronte all’avanzata «populista» in tutta l’Unione. Ma neppure farà finta di niente. In un modo o nell’altro, la Commissione intende imporre al governo italiano una nuova ventata d’austerità. Si spiegano così, le voci che si sono accavallate ultimamente su un rocambolesco quanto improbabile tentativo di Renzi di votare in autunno, prima di dover adoperare di nuovo la scure.
Ma le pastoie europee, il premier italiano proprio non può permettersele. Molto meglio lo scontro aperto, ralzando i consensi della vasta opinione inviperita con l’Europa e mettendo nell’angolo le opposizioni, che infatti balbettano. Come si fa a difendere Renzi? Ma come si fa, d’altra, parte, a schierarsi con l’odiata Europa? La destra ci prova ma i risultati, con Brunetta che si scopre solidale con Jucker e Salvini che si attacca al classico «due facce della stessa medaglia» è spompato in partenza.
Juncker annuncia che sarà in Italia forse a fine febbraio «perché l’atmosfera non è delle migliori». Se non si troverà per l’occasione un compromesso, Renzi è probabilmente deciso a portare lo scontro nel cuore della Ue.
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IL BUNKER DELLA DESTRA
Non basta il presente a spiegare il presente. Soprattutto in Italia, dove la “non contemporaneità del contemporaneo” è sempre alacremente all’opera. E di certo vi è solo che non c’è alcuna rivoluzione in corso né in prospettiva, tanto meno quando abbondano i tribuni che la evocano.