In Libia l’unione non fa la forza
Accordo debole. Via al governo di unità nazionale di Fayez al Sarraj, ma non si sa neanche se risiederà nella capitale. Il nuovo esecutivo benedetto dall’Onu dovrà arginare l’avanzata del Daesh. E aprire la strada a un altro intervento armato dell’Occidente
È composto da 32 ministri, provenienti da tutto il Paese, il governo di unità nazionale libico del premier Fayez al Sarraj di cui è stata annunciata ieri la formazione. È una delle poche certezze di questo sviluppo politico, sotto l’egida dell’Onu, in una Libia nel caos, sempre spaccata tra Est e Ovest, dove, mentre milizie e fazioni opposte continuano a scontrarsi, Daesh, lo Stato islamico, guadagna posizioni con infiltrazioni nelle regioni meridionali del Paese dove rafforza i legami con le formazioni jihadiste nell’Africa subsahariana. Ottimista, più per ruolo che per convinzione, l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Martin Kobler. «Mi congratulo con il popolo libico e il Consiglio presidenziale per la formazione del governo di accordo nazionale», ha dichiarato Kobler, esortando l’HoR, il parlamento insediato a Tobruk, a «riunirsi prontamente» e «ad approvare il governo». L’inviato speciale ha però ricordato che «davanti c’è un duro lavoro».
Kobler ha ragione. Prima dell’intesa due membri del Consiglio presidenziale hanno lasciato i lavori in segno di protesta per l’esito dei negoziati. La mancanza dell’unanimità contribuisce a far nascere debole un governo chiamato ad affrontare oltre alla questione Daesh anche la precaria situazione umanitaria, economica e sociale in cui versa la Libia. Tutti sanno che adesso viene la parte più delicata: i nomi dei ministri scelti attendono di essere approvati dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk che da settimane non riesce a raggiungere il quorum per una votazione. E non sarà facile far digerire l’accordo alle varie milizie armate che controllano e di fatto paralizzano Tripoli con le loro azioni. Non è affatto scontato che l’esecutivo avrà la sua sede nella capitale.
Il nuovo governo è fragile in ragione proprio della sua composizione, frutto di mediazioni sfiancanti tra innumerevoli interessi. La scelta per il ministero degli esteri di Marwan Abusrewil, membro di una famiglia con legami in ogni parte del Paese, è palesemente indirizzata a tenere in equilibrio gli interessi dell’Est e dell’Ovest. Tobruk ha strappato l’importante ministero del Petrolio, che andrà a Khalifa Abdessadeq.
Il dicastero della Difesa, quello che aveva creato maggiori tensioni durante le trattative, andrà a Mahdi al Barghati, uno dei comandanti dell’Esercito di Bengasi, vicino fino a qualche tempo fa al potente generale Khalifa Haftar. Il destino di quest’ultimo grava sulla stabilità dell’esecutivo.
Per anni uomo della Cia, ora sostenuto apertamente dal presidente egiziano al Sisi, considerato dall’Occidente, fino a qualche mese fa, l’uomo forte in grado di affrontare la minaccia di Daesh e mettere fine al caos, non figura nel nuovo mosaico politico e di sicurezza della Libia. È difficile credere che sia rimasto tagliato fuori, impossibile pensare che accetti di farsi da parte. Haftar resta in attesa di un incarico di eccezionale rilievo, soprattutto dal punto di vista militare. Altrimenti potrebbe rientrare in gioco alla sua maniera, come ha sempre fatto.
La Libia “rischia” di recuperare dopo quattro anni un po’ dell’unità nazionale perduta a causa della “rivoluzione” e l’eliminazione di Muamar Gheddafi. L’Onu ha aperto la strada al governo di Fayez al Sarraj ma sembra averla aperta anche a un nuovo intervento armato occidentale che vedrà l’Italia in prima linea «contro il terrorismo».
Qualche settimana fa il presidente del consiglio Renzi ha sottolineato che «il 2016 si annuncia molto complicato a livello internazionale, con tensioni diffuse anche vicino a casa nostra», aggiungendo che «L’Italia c’è e farà la sua parte, con la professionalità delle proprie donne e dei propri uomini e insieme all’impegno degli alleati». Più chiaro di così. D’altronde anche Francia, Gran Bretagna e Usa non aspettano altro. «L’Occidente vuole l’unità nazionale della Libia per poterla bombardare», ha scritto un mese fa lo stimato giornalista ed ex analista del Guardian David Hearst. E il nostro Manlio Dinucci ha spiegato qualche giorno fa che il piano è in avanzata fase di preparazione. Gli Stati Uniti sono al comando. Anche questa nuova guerra che sarà presentata come «operazione di peacekeeping e umanitaria».
In realtà, con il via libera del governo di al Sarraj, Washington e gli alleati europei mirano ad occupare le zone più importanti della Libia, a cominciare da quelle costiere per finire ai giacimenti di petrolio finiti nelle mani di Daesh compromettendo gli interessi e gli investimenti fatti dalle grandi compagnie petrolifere.
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