Il rapporto che ha ispirato il presidente: dimezzando l’evasione 3 punti di Pil in più

«Un elemento che ostacola le prospettive di crescita è rappresentato dall’evasione fiscale. Secondo uno studio di Confindustria, nel 2015 l’evasione fiscale e contributiva in Italia ammonta a 122 miliardi di euro. 122 miliardi! — ha ripetuto Mattarella in tv —. Vuol dire 7 punti e mezzo di Pil. Dimezzando l’evasione si potrebbero creare oltre 300 mila posti di lavoro: gli evasori danneggiano la comunità nazionale e i cittadini onesti. Tasse e imposte sarebbero decisamente più basse se tutti le pagassero». È stato questo uno dei passaggi più politici, forse l’unico nel quale si può leggere non solo il richiamo a un maggior senso civico che ha permeato il discorso, ma anche una sollecitazione al governo.
Confindustria calcola che il Pil potrebbe aumentare del 3,1% e gli occupati di oltre 335 mila unità se solo si riuscisse a dimezzare l’evasione restituendo ai contribuenti le risorse recuperate sotto forma di taglio delle tasse. Per riuscirci bisognerebbe aggredire tutte le voci dei 122 miliardi di evasione: 40 miliardi di Iva non pagata; 23,4 di Irpef; 5,2 di Ires; 3 di Irap; 11,4 di altre imposte indirette; 4,9 di imposte locali e 34,4 di contributi previdenziali.
Le aree dove c’è più attività in nero, ricorda Confindustria, sono i servizi (32,9% del valore aggiunto del settore), il commercio, trasporti, attività di alloggio e ristorazione (26,2%), le costruzioni (23,4%), le attività professionali (19,7%). Quanto all’Iva, l’imposta più evasa, l’Italia si colloca al secondo posto in Europa dopo la Grecia, con un gettito evaso pari al 33,6% del dovuto. Certo, pesa il fatto che in Italia ci sono molte più piccole attività, dove è più facile evadere. Ma, sottolinea lo studio, conta anche il fatto che il 99% dei contribuenti rischia di subire un controllo ogni 33 anni (piccole imprese) o 50 anni (professionisti). Risultato: la pressione fiscale è pari al 43,6% del Pil (era il 39,2% nel 2005), ma se si calcola quella «effettiva», cioè al netto dell’economia sommersa, sale al 54,9%.
In Germania il 44,8%, nel Regno Unito il 38,2. Ma «nei paesi anglosassoni — osserva il rapporto — è frequente il ricorso da parte del fisco ai meccanismi di name & shame degli evasori», lo «stigma sociale». In Irlanda, con cadenza trimestrale, vengono pubblicati «i nomi dei soggetti sanzionati in via definitiva per violazioni fiscali». Nel Regno Unito si pubblicano i nomi di chi ha evaso più di 25 mila sterline (35 mila euro circa) e i «profili, anche fotografici, dei soggetti ricercati per evasioni accertate di ingente importo, cui viene dato ampio risalto mediatico».
Enrico Marro
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