La regola dell’ottimismo

La regola dell’ottimismo

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L’AMERICAN Dream ha sempre avuto tra i suoi ingredienti essenziali il pensiero positivo. È vero più che mai. Basta scorrere l’elenco dei best-seller nelle librerie di qui. Dominano titoli come questi: “Le 7 abitudini delle persone efficienti”, “La nuova psicologia del successo”, “Conquistare il sì degli altri: negoziare accordi vincenti”, “Il segreto di un amore durevole”. È il genere del self-help, la manualistica fondata sull’incrollabile fiducia americana che tutto si può migliorare, a cominciare da noi stessi. Al quarto posto nella classifica libri del Washington Post regge tuttora il capostipite intramontabile di questo genere, “Come conquistare amici e influenzare gli altri”, il classico che Dale Carnegie scrisse nel 1936 inaugurando il filone del “self-improvement”, il miglioramento di sé. L’influenza del pensiero positivo è pervasiva, onnipresente. È la prima regola che fu inculcata a mia moglie cominciando a lavorare negli Stati Uniti quindici anni fa, poi a mia figlia quando è arrivato il suo turno: ai tuoi superiori non presentare mai un problema ma una soluzione; non lamentarti di una cosa che non funziona, suggerisci come aggiustarla. Tra gli europei il pensiero positivo scatena reazioni contrapposte: per atavico scetticismo lo considerano una manifestazione dell’ingenuità e della superficialità americana; al tempo stesso lo ammirano segretamente perché “dà una marcia in più” a chi ci crede.

Ma ora arriva la versione 2.0 dell’ottimismo made in Usa, aggiornata e corretta dalla Silicon Valley. Più raffinata, può superare le obiezioni della vecchia Europa. La nuova filosofia è riassunta da una copertina del New York Times magazine, con un orsacchiotto di peluche sorridente che esibisce lo slogan: «Pensate positivo — solo quando è corroborato dai fatti». È l’ottimismo costruttivo ma razionale, realistico e pragmatico, adatto all’era di Big Data. Una tecnologia psichica per costruire un mondo migliore, aggiustando quei pezzi della nostra personalità che l’evoluzione della specie ha lasciato incompiuti, arcaici, nefasti.

La copertina del New York Times magazine presenta un reportage dal laboratorio di tutte le innovazioni, la Bay Area di San Francisco. Lì sono nati di recente anche i seminari sul nuovo pensiero positivo, organizzati dal Center for Applied Rationality (Cfar) presso l’università di Berkeley, pubblicizzati attraverso il blog LessWrong (“meno sbagliato”). L’iniziativa ha attirato l’attenzione di Facebook che ha offerto ad alcuni suoi dipendenti la partecipazione a questi seminari. Uno dei fondatori di Skype, Jaan Tallinn, ha promosso l’esperienza pagando di tasca sua l’iscrizione a gruppi di studenti universitari. L’autrice del reportage per il magazine, Jennifer Kahn, ha sborsato i 3.900 dollari per poter raccontare ai lettori l’esperienza: quattro giorni e quattro notti di formazione, in gruppi di 36 partecipanti guidati da sei istruttori, in una casa a San Leandro, periferia di San Francisco. Tra le promesse che il corso fa agli iscritti: li guiderà in un percorso di gruppo per liberarli dalla «cattive abitudini mentali », che impediscono di dare il meglio di sé, per esempio «rinviare, sprecare il proprio tempo, razionalizzare comportamenti improduttivi ». Si parte con dei giochi educativi molto semplici. Alcuni hanno bisogno della dinamica di gruppo, altri sono ripetibili a casa propria, individualmente. Un esempio è l’esercizio per moltiplicare il tempo a disposizione dei nostri obiettivi più importanti e prioritari. Insegna a minimizzare il tempo dedicato ad attività di routine. «Prendi un gesto quotidiano ripetuto da sempre, come lavarti i denti, lavare i piatti, fare la doccia o rifare il letto. Misura quanto tempo dura, e scrivilo su un foglietto. Moltiplica per 365 giorni l’anno, poi per i prossimi 10 anni della tua vita. Studia un accorgimento per fare la stessa cosa più velocemente, e calcola il tempo che hai liberato nel prossimo decennio». Banale? Forse. A meno che questo “approccio matematico” non si trasformi in un’efficace motivazione per una vita spesa meglio, riempita di cose importanti, a cui teniamo di più.

Si passa ad esercizi più raffinati, come quello che serve a immunizzarci contro un ottimismo poco realistico, a proteggerci dalla tendenza a non vedere il rischio di un fiasco personale. «Immagina la prossima missione che ti aspetta: una presentazione da fare in una riunione di lavoro, un discorso ad un meeting. Ora immagina che il futuro te stesso ti renda visita, per raccontarti che sei stato disastroso. Quali sono gli scenari-catastrofici che possono aver determinato il fiasco? Ora torna indietro nel tempo, e lavora a prevenirli». Si passa a dei giochi più interattivi, dove conta la dinamica di gruppo. Ciascuno dei partecipanti è tenuto a mettersi nella situazione più imbarazzante, quella che vuol evitare ad ogni costo (parlare in pubblico? Farsi toccare dagli altri? Esibire un isolamento, una diversità, l’essere solo contro tutti?) come un percorso per scoprire con gli altri le vere origini delle proprie paure. Qui si sconfina verso i metodi della psicoterapia di gruppo… Quello che rende originale l’approccio è il retroterra culturale della Silicon Valley. I fondatori del centro per la “razionalità applicata” di Berkeley sono tutti dei matematici o informatici. Hanno studiato quel ramo della scienza economica che viene definito “comportamentale”, e ha ormai generato diversi premi Nobel. Hanno studiato i nuovi filoni della biogenetica e dell’etologia che tendono a distinguere nella mente umana la parte emotiva e istintiva (legata alla corteccia cerebrale, non molto dissimile dai nostri antenati cavernicoli, dai primati, o perfino da altre specie animali) da quella razionale e intellettuale, più evoluta ma non necessariamente capace di imporre la propria volontà agli istinti primordiali. Il retroterra della Silicon Valley è importante perché il nuovo pensiero positivo si basa anche su un allarme. Se non superiamo i limiti del nostro istinto primitivo, tendiamo a sottovalutare minacce e pericoli nuovi che possono segnare la fine della specie umana: per esempio il cambiamento climatico. Oppure, altro scenario inquietante che è stato denunciato da personalità come Bill Gates o Elon Musk, se l’uomo rimane imprigionato dai suoi limiti caratteriali, finirà per prevalere l’Intelligenza Artificiale? Siamo in un mondo diverso da quello di Dale Carnegie, insomma, più consapevole dei limiti dello sviluppo, della contraddizione tra il potere della tecnologia e l’imperfetto uso che ne fanno gli umani.

La giornalista del New York Times magazine che ha partecipato all’esperimento, ne trae una conclusione cautamente ottimista. Migliorare noi stessi con l’aiuto della scienza e di Big Data, si può. Un passo alla volta possiamo imparare a diventare più costruttivi, cooperativi, razionali anche riguardo alle nostre emozioni e relazioni umane. «Settimane dopo quel seminario — racconta la Kahn — ho cominciato quasi inavvertitamente a usarne le tecniche. Ho notato quando scivolavo nel vizio di procrastinare il lavoro. Ho sperimentato i trucchi per educarmi, come andare a lavorare in biblioteca anziché al bar, o pagare anticipatamente la palestra per costringermi a frequentarla. Invece di pensarmi prigioniera delle abitudini, ho cominciato a provare tanti metodi per cambiarle».

Il Think Positive targato Silicon Valley si ricongiunge con altre correnti contemporanee che hanno attecchito nel mondo angloamericano. Una è la visione dello scienziato Steven Pinker illustrata nel suo best-seller “Il declino delle violenza”, che nella versione originale inglese reca nel titolo “gli angeli migliori della nostra natura”: è un compendio di teoria dell’evoluzione incoraggiante, perché dimostra che la selezione della specie non premia l’individuo che prevale sugli altri a qualsiasi costo, bensì le comunità sociali più capaci di sviluppare una cooperazione pacifica. L’altro filone — che ha conquistato Barack Obama ma anche il conservatore britannico David Cameron — è la teoria del “nudge” (spinta gentile) del politologo Cass Sunstein. È un approccio scientifico all’arte di governo, studia come dispiegare tutti i piccoli incentivi che ci portano a diventare un po’ migliore. Invece del metodo statalista e dirigista, o di quello punitivo, o di quello moralistico, il “nudge” ci accompagna verso comportamenti più civili.

Utopia? Ma è proprio il metodo che da anni applica Michelle Obama nel rieducare gli americani — a cominciare dai ragazzi nelle scuole — a mangiar meglio e a far esercizio. Risultato? L’obesità retrocede, per la prima volta da decenni. E la First Lady è ai vertici storici negli indici di popolarità. Qualcosa nel nuovo pensiero positivo dev’essere giusto.



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