Mal’aria in quarantotto città italiane: «L’emergenza sta diventando cronica»

by Gilda Maussier, il manifesto | 30 Gennaio 2016 10:24

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Nel far west italiano delle targhe alterne, delle domeniche ecologiche e delle misure anti smog prese allo scoccar di titoli e a macchia di leopardo, l’«emergenza rischia di diventare cronica». L’avvertimento arriva da «Mal’aria di città 2016», il dossier di Legambiente che analizza i dati dell’inquinamento atmosferico e acustico delle grandi e piccole città italiane nel 2015.

Delle 90 città monitorate nella campagna «PM10 ti tengo d’occhio», ben 48 (il 53%) hanno superato la soglia dei 35 giorni di inquinamento consentiti, come si legge nel dossier. Ma ce n’è uno, di dato, che descrive bene il paradosso di una politica ambientalista senza capo né coda: Frosinone, incoronata «cigno nero» d’Italia, dove i giorni di inquinamento da Pm10 sono stati 115, ha raggiunto il limite legale del 35° giorno il 16 febbraio scorso. Fuorilegge per dieci mesi e mezzo.

Non è l’unica, però, nemmeno a dirlo. «Dei 48 capoluoghi fuori legge il 6% ha superato il limite delle 35 giornate più del triplo delle volte, andando oltre i 105 giorni totali; il 33% lo ha superato di almeno due volte e il 25% ha superato il limite legale una volta e mezza». Il 35° giorno era arrivato per Pavia e Torino – seconda e quinta nella triste classifica di Legambiente, con 114 e 99 giorni di Pm10 oltre la soglia consentita — già rispettivamente il 22 e il 27 febbraio 2015; a Milano (out per 101 giorni) era successo già il 10 marzo.

Ci sono poi intere regioni in apnea: Veneto (fuori dal limite il 92% delle centraline urbane monitorate), Lombardia (l’84%), Piemonte(l’82%), Emilia-Romagna e Campania (l’75%). Confrontando poi i dati del 2015 con quelli raccolti da Legambiente negli ultimi anni — riporta «Mal’aria 2026»- emerge come per il Pm10 il numero di città fuorilegge sia in linea con la media degli ultimi sette anni (48, dal 2009 ad oggi). E le città coinvolte sono quasi sempre le stesse.

Il clima può influire, ma «non basta appellarsi all’assenza di vento e pioggia per intere settimane: l’aria diventa sempre più irrespirabile a causa delle elevate concentrazioni delle polveri sottili, dell’ozono e del biossido di azoto». D’altronde, in Italia l’automobile privata è sacra almeno quanto la tv: a Roma ci sono 62 auto ogni 100 abitanti e a Catania 67, contro le 25 auto di Amsterdam e Parigi o le 31 di Londra. Però in Italia si muore anche più precocemente, a causa del Pm 2,5: il primato lo abbiamo raggiunto nel 2012, secondo le stime dell’Agenzia ambientale europea pubblicate nel 2015, con circa 59.500 morti. «Senza contare che in Italia i costi collegati alla salute derivanti dall’inquinamento dell’aria si stimano fra i 47 e i 142 miliardi di euro nel 2010».

Per questo Legambiente fissa dieci punti (riguardanti mobilità urbana, treni, riscaldamento degli edifici e inquinamento industriale), sui quali «chiediamo fin da subito l’impegno del Governo, delle Regioni e delle amministrazioni locali».

Perché «i danni economici per il mancato rispetto delle norme italiane ed europee sulla qualità dell’aria potrebbero arrivare anche dalle sanzioni che l’Europa potrebbe decidere di applicare nel nostro Paese». Sono infatti due le procedure d’infrazione ad oggi avviate, entrambe nella fase di messa in mora: una, del 2014, riguarda il superamento dei limiti di PM10, e l’altra, avviata nel maggio 2015, riguarda i livelli di biossido di azoto.

«L’emergenza smog — dichiara Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente — difficilmente si potrà risolvere con interventi sporadici proposti in fase d’emergenza, senza nessuna politica concreta e lungimirante. Per uscire dalla morsa dell’inquinamento è fondamentale che il Governo assuma un ruolo guida. Il protocollo firmato lo scorso 30 dicembre tra ministero dell’Ambiente, rappresentanti di comuni e regioni, non è stato all’altezza del problema. Per questo è urgente e indispensabile che l’Italia adotti un piano nazionale per la mobilità urbana, dotato di risorse economiche, obiettivi misurabili e declinabili».

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