Nouriel Roubini: “Solo l’accordo tra banche centrali eviterà un crollo come nel 2008”

by EUGENIO OCCORSIO, la Repubblica | 18 Gennaio 2016 16:11

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«Non si può restare fermi. Le autorità fiscali e monetarie dei principali Paesi dovrebbero subito assumere un’iniziativa forte e proattiva. Altrimenti il crollo dei mercati, che trascinano l’economia reale, non si ferma. La Fed dovrebbe interrompere i rialzi, la Bce potenziare il quantitative easing e altrettanto la Bank of Japan, la Banca centrale cinese imbracciare con maggior decisione la strada dello stimolo monetario». Nouriel Roubini, il guru della New York University, torna a leggere oscuri presagi valutando con il suo staff guidato dal capo economista dell’Rge (Roubini global economics), Brunello Rosa, la volatilità dei mercati. «La credibilità di un tale sforzo congiunto determinerà il grado di fiducia che si riuscirà a ripristinare presso investitori, risparmiatori, aziende. La non azione potrebbe portare all’inizio di una nuova fase ribassista».

Siamo a un altro 2008?

«Forse non ancora, ma non si possono non rilevare inquietanti parallelismi che ci danno una fortissima preoccupazione. Bisogna capire se quello di questi giorni è solo un rovescio dei mercati o l’inizio di un nuovo crollo sistemico. Allora il detonatore furono i mutui subprime, ora potrebbe essere la catena di fallimenti delle società dello shale oil, messe in larga parte fuori mercato dai prezzi del greggio e dalla sovrapproduzione dell’Opec. Rispetto al 2008, quando furono le banche, sovraccariche di debiti, a cedere e aprire la crisi sistemica, gli istituti sono più capitalizzati in tutto il mondo. Bisogna allora tener d’occhio il mercato delle obbligazioni Usa, tanto importante quanto debole. È in corso una massiccia svendita di corporate bond legati appunto al settore energetico che rischia di destabilizzare il sistema. E’ il più grande punto interrogativo del 2016. Nessuno sa quale sia il vero stato di salute reale del comparto, ma il settore energetico è esposto: bisogna vedere se siamo di fronte a una serie di fallimenti individuali o una vera “epidemia” che avrà effetti sistemici e gravi. C’è poi, altrettanto insidioso, il cattivo andamento delle vendite al consumo delle ultime settimane».

Anch’esso è collegato al prezzo del petrolio?

«Sì. In una catena di eventi, i licenziamenti nello shale oil determinano una contrazione dei consumi per il semplice motivo che chi è disoccupato non ha soldi da spendere. E’ sintomatico l’annuncio della chiusura di molti punti vendita Wal-Mart in un momento in cui tutti erano eccitati proprio per il calo-greggio che sembrava preludere a un boom dei consumi. E’ andata all’opposto. Ciò porterà a profitti inferiori alle aspettative per molte importanti aziende americane non solo della distribuzione».

E la Cina, in testa alla classifica dei “sospetti”?

«Teniamo presente che la scivolata dei valori azionari d’inizio anno va associata più che a ulteriori cattive notizie sul fronte economico a una serie di fattori tecnici concentrati: la fine del divieto di vendere titoli da parte dei maggiori azionisti (poi ripristinato nell’emergenza), l’introduzione di più severi sistemi di blocco automatico delle contrattazioni in caso di oscillazioni (che spesso interrompe la giornata di un’azione quando è sui valori più bassi), perfino la ripresa delle offerte iniziali di acquisto che aumentano l’offerta di titoli ».

Vuol dire che l’economia cinese è sana?

«No, la crescita quest’anno non supererà il 6% contro il 7 del 2015, e ci sono grossi problemi di modello di sviluppo, di consumi interni che non riescono a decollare, di export compromesso per la lentezza del resto del mondo. La Cina è un fattore di volatilità ma da solo non basta a determinare il panico diffuso nel mondo. La crescita resta debole in Europa e rallenta in America, come testimonia lo stillicidio di dati deludenti degli ultimi giorni, dall’attività manifatturiera alle vendite al dettaglio. In Europa c’è l’aggravante dell’incombente referendum sulla Brexit, della confusa situazione politica in Spagna, delle persistenti tensioni nell’area euro anche se la morsa dell’austerity sembra allentata. Né possiamo dimenticare le tensioni geopolitiche e il terrorismo che ne è il “byproduct”. Ancora una volta la chiave per tamponare gli effetti economici delle crisi politiche risiede in prima battuta nelle banche centrali».

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