Petrolio sempre meno caro ma per le famiglie mini-sconti

Petrolio sempre meno caro ma per le famiglie mini-sconti

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Il crollo del greggio lascia (almeno per ora) i consumatori a bocca quasi asciutta. Un barile costa oggi il 50% in meno di sei mesi fa. E a festeggiare sono in tanti: l’Italia Spa ha risparmiato 9,9 miliardi di euro sulla bolletta petrolifera 2015; i grandi “energivori” come compagnie aeree, acciaierie e cementieri hanno tagliato drasticamente le loro spese; i costi per i trasportatori di frutta e verdura dalle serre del Sud agli ortomercati del Nord sono scesi del 15%. Gli italiani invece si sono dovuti accontentare degli spiccioli: un mini sconto sul pieno dell’auto (-13% da luglio), un colpo di lima – 60 euro a famiglia all’anno – sulle bollette di luce e gas, scese dell’1,2% e del 3,3% a gennaio e una modesta flessione dello 0,1% dei prezzi alimentari.

Briciole. Specie a fronte dei dividendi incassati dall’industria e dei benefici piovuti sui consumatori di altri Paesi. Ecco come sono cambiati negli ultimi mesi i costi per chi il petrolio lo usa per lavoro assieme a vincitori e sconfitti della lotteria dell’idrocarburo, dove a guadagnare sono spesso in pochi e a perdere quasi sempre gli stessi.

Il pieno di carburante è uno dei rari fronti dove l’onda lunga del calo del greggio è arrivata, anche se in dosi omeopatiche, alle tasche dei consumatori. Il prezzo della benzina alla pompa è sceso da luglio del 13%. Viaggiare da Roma a Milano con un’utilitaria costa oggi 62 euro di benzina contro i 71 di sei mesi fa. Un bel taglio, certo. Molto meno però del -50% del barile. La colpa è della pioggia di tasse e accise scaricate sui serbatoi tricolori per puntellare i conti dello Stato: 98 centesimi, incomprimibili, per un litro di verde (il 70% del prezzo finale). Risultato: negli Usa, dove i dazi pesano meno, il prezzo è sceso molto più che in Italia (-23%, quasi il doppio). Un litro di carburante negli States costa 0,48 centesimi di euro, come nel 2005, quando in Italia il rifornimento costava il 25% in meno di oggi.

Le compagnie aeree sono tra i grandi beneficiari della crisi dell’oro nero. Un Boeing 777 in volo tra Roma e New York consumava sei mesi fa 35.500 euro di jet fuel. Oggi lo stesso quantitativo (una sessantina di tonnellate di carburante) ne costa poco più di 18.500. Il kerosene pesa per il 25-30% sui costi di un’aerolinea e i conti sono presto fatti: solo nel 2015, calcola la Iata, la bolletta petrolifera del settore si è chiusa con un risparmio di 46 miliardi. Quanti di questi soldi sono stati trasferiti ai viaggiatori riducendo il costo dei biglietti? Pochissimi. Fonti del settore parlano di un calo tra il 3 e il 5% delle tariffe mentre gli utili dei vettori sono raddoppiati a 33 miliardi. È sparito, è vero, il famigerato sovrapprezzo carburante, inventato quando il greggio viaggiava a 100 dollari. Ma spesso solo per essere ribattezzato con un nome diverso, restando come componente del prezzo finale.

I trasporti sono una voce importante dei costi industriali di molte aziende del grande consumo. E anche qui nel 2015 sono grandinate buone notizie per i produttori. Carta canta: il consumo delle portacontainer che navigano tra Far East, Europa e America è di circa 200 tonnellate di carburante nautico al giorno. Ventiquattro ore a 21 nodi di velocità di crociera costavano 152mila dollari a luglio. Oggi 64.350. Stesso discorso per i Tir. Sulla Catania-Milano – la rotta di buona parte dell’ortofrutta tricolore – si risparmiano ora circa 100 euro. Il carburante, calcola la Confederazione italiana agricoltori, pesa per il 25-30% sul costo finale. Eppure a dicembre ben 11 ortaggi sui 17 rilevati dall’Ismea costavano più dell’anno precedente. E nemmeno le primizie che viaggiano migliaia di chilometri per arrivare da noi costano poi molto meno dell’anno passato.

A festeggiare il crollo del greggio, con scarsi effetti per i consumatori, ci sono pure le grandi imprese energivore. Le compagnie aeree non sono le sole: la bolletta di petrolio ed elettricità rappresenta quasi il 40% dei costi di un cementificio. Il 26% delle spese delle acciaierie se ne va per acquistare energia. E per loro – vista la crisi dei settori – la boccata d’ossigeno è stata manna dal cielo.

Il petrolio è, per assurdo, anche una delle materie prime dell’acqua minerale. Ne servono 8 litri per fare 240 bottiglie di plastica. Altri 250 litri di carburante vanno via ogni mille km per trasportare 10mila bottiglie dalle sorgenti (spesso al Sud) agli scaffali dei supermercati (spesso al Nord). Per risparmiare – e non far male all’ambiente – inutile contar troppo sul Brent. Molto meglio brindare con l’acqua del rubinetto.



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