Prelievi di beni ai migranti, il caso svizzero

by Maria Serena Natale, Corriere della Sera | 16 Gennaio 2016 10:13

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«Ho dovuto vendere la casa per pagare i trafficanti che hanno portato la mia famiglia fin qui. A Zurigo siamo stati controllati dalla polizia, ci hanno preso quasi tutto quello che avevamo» — 2.500 euro di risparmi. È il racconto di un profugo siriano trasmesso dalla televisione svizzera nelle stesse ore in cui la Danimarca discute la legge che prevede il prelievo di beni e denaro ai migranti come contributo ai costi dell’accoglienza. Un dibattito nel quale non si risparmiano paragoni con le confische ai danni degli ebrei nei momenti più bui del Novecento (il ministero dell’Interno danese ha dovuto smentire le voci sull’obbligo di consegnare anche le fedi nuziali). L’Europa che sulla crisi dell’immigrazione si gioca il futuro, continua a dividersi su regole e confini.

La Svizzera è fuori dalla Ue ma dentro l’area di libera circolazione di Schengen e ha accettato di partecipare al sistema di smistamento dei profughi approntato da Bruxelles con piccoli numeri, da 1.500 a 3 mila. Non è tra le destinazioni più popolari per i rifugiati, a causa di un sistema d’asilo molto restrittivo con forti limitazioni su ricongiungimenti familiari e accesso al mercato del lavoro e con una media del 35% di domande accolte contro il 70% degli altri Paesi europei (la maggior parte dei richiedenti ottiene permessi di soggiorno temporanei). Eppure la norma sul contributo spese richiesto ai migranti fa discutere, tanto da costringere il governo a difendere un provvedimento in vigore da oltre vent’anni.

La misura contestata impone di consegnare all’arrivo in uno dei centri d’accoglienza del Paese qualsiasi bene di valore superiore ai mille franchi (circa 915 euro). Ai richiedenti asilo viene rilasciata una ricevuta, chi sceglie di ripartire entro sette mesi può chiedere la restituzione dei beni depositati. Chi invece si vede riconosciuto il diritto di restare e lavorare deve cedere anche il 10% dello stipendio per un massimo di dieci anni per restituire allo Stato un totale di 15 mila franchi (quasi 14 mila euro). Un meccanismo che rientra in un sistema di welfare profondamente radicato, basato sul principio dello sforzo comune al quale corrispondono comuni benefici. Ogni mese l’esecutivo federale destina al territorio 1.500 franchi per rifugiato. Persone che raggiungono l’Europa in condizioni di estrema difficoltà, al termine di viaggi pericolosi e senza un approdo sicuro. «La maggior parte non ha più un soldo» dicono dalla Segreteria di Stato della Migrazione. Nel 2015 la norma ha riguardato solo 112 rifugiati su 45 mila, portando alle casse dello Stato 210 mila franchi.

I gruppi di assistenza ai migranti non hanno dubbi, la legge va cambiata: ora che l’Europa è entrata nel secondo anno della più grave crisi di rifugiati dal Dopoguerra, togliere beni a chi cerca riparo dalle persecuzioni è togliere dignità.

Maria Serena Natale

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