Aung San Suu Kyi e la “prima volta” della democrazia

by RAIMONDO BULTRINI, la Repubblica | 2 Febbraio 2016 10:19

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NAYPYIDAW Una seduta storica del Parlamento come quella di ieri mattina poteva celebrarsi tra folle giubilanti, nella vecchia Rangoon. Invece non c‘è anima viva attorno ai magnificenti palazzi della nuova capitale birmana Naypydaw con i tetti a guglie costruita dai generali appena 10 anni fa. Né una piazza o un marciapiede sul quale incontrarsi. La Città dei Re non è stata modellata sulle esigenze di un popolo che ha atteso questo giorno per decenni: l’insediamento ufficiale dei 255 deputati della Lega nazionale per la democrazia che saranno chiamati a formare per la prima volta un nuovo governo .

Anonimi pulmini li hanno prelevati al mattino dalle loro casette numerate dell’ostello municipale dove alloggiano tutti i 330 parlamentari della Camera bassa giunti da 7 Stati, 7 Divisioni e 14 province del Paese. Tra questi pionieri del nuovo processo democratico 115 ex prigionieri politici. Uno di loro è il futuro portavoce del nuovo Parlamento, U Win Myint: la sua nomina è avvenuta in un’aula silenziosa e composta, nell’enorme emiciclo dove nessuno cammina se non per dovere di cerimoniale, accolta da un applauso di pochissimi secondi scrosciato da tutti i banchi, compresi quelli dove siedono con le loro uniformi verdi gli oltre 100 deputati-militari imposti d’ufficio dalla costituzione.

La sezione dell’Nld è la più vasta, colorata dell’arancione di abiti etnici e bandana scelti dal partito per i suoi rappresentanti. In mezzo la sparuta compagine di 40 uomini in bianco del partito pro-giunta, l’U-SDP, residuo del vecchio regime . Non a caso la vicepresidenza della Camera bassa è andata proprio a un membro di questa formazione oggi minoritaria, nel timore che l’esercito possa interrompere di nuovo — come nel 1990 — il sogno di democrazia di 50 milioni di cittadini della Repubblica dell’Unione del Myanmar.

Aung San Suu Kyi,premio Nobel per la pace, ha assistito all’intera sessione con volto attento e impassibile: seduta sul banco di prima fila di fronte al nuovo portavoce personalmente scelto e fatto votare. Sarà ancora lei, entro un paio di settimane, a sciogliere la riserva sul nome del prossimo presidente formale dell’Unione, da eleggere alla fine del mandato di Thein Sein che scade il 31 marzo. Scelta delicata perché chiunque accetterà l’incarico dovrà agire letteralmente come mero esecutore dei suoi ordini: uno degli aspetti più surreali di questa nuova fase politica che prende forma, come previsto dai generali nei loro piani di molti anni fa, nella città costruita da capo a piedi per imporre la soggezione di un potere assoluto.

Aung San Suu Kyi è stata squalificata d’ufficio nella corsa alla presidenza da una norma costituzionale appositamente promulgata per vietare, tra le altre cose, incarichi istituzionali a chi sposa uno straniero come fece lei. In quanto leader del partito di una maggioranza emersa l’8 novembre con l’80 per cento dei voti, la Nobel ha già pubblicamente rivendicato il diritto di governare ben «aldisopra al presidente». Ma gli ex generali e i loro rappresentanti le hanno ricordato anche in queste ore che i cambiamenti alla Costituzione richiedono una maggioranza più vasta di quella dei suoi 255 deputati su 330.

Lo spauracchio usato dai nemici di Suu Kyi è lo stato interno dell’ordine pubblico, qualora il popolo dovesse ribellarsi in caso di prolungata stagnazione economica come l’attuale e nuove ingiustizie palesi verso le fasce più deboli. Senza contare i conflitti armati già in atto negli Stati Kachin e Shan, o le pulizie etniche nell’Arakan contro gli islamici Rohingya (non c’è un musulmano tra i deputati). Norme costituzionali capestro scritte prima della svolta democratica impongono infatti che i dicasteri degli Interni, della Difesa e delle Frontiere restino a un militare, oltre alla gestione della potentissima GAD, l’Amministrazione centrale dello Stato.

Nonostante tutto Suu Kyi, con altrettanta pazienza dei suoi anni agli arresti, si appresta a governare per procura col sogno di portare dalla sua parte perfino l’ala militare del nuovo Parlamento, verso la quale ha dispensato anche nei giorni scorsi parole di stima e collaborazione.

Fuori dall’immenso complesso di edifici istituzionali isolato dal resto della città da cancelli, recinzioni e viali cementati a perdita d’occhio, la vita scorre intanto con i ritmi di una città ordinata dalla burocrazia. Senza il tempo e il modo per festeggiare il giorno di nascita della democrazia.

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