Capitali all’estero, parte la caccia a chi non li ha riportati in Italia
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La fase 2 della «voluntary disclosure», l’autodenuncia dei capitali detenuti illecitamente all’estero, sta per partire. E avrà molto poco di volontario perché, chiusa la finestra per il rimpatrio protetto dei capitali, il Fisco è pronto a mettere in campo tutti i suoi nuovi strumenti, a cominciare dallo scambio di informazioni diretto con gli altri Paesi per stanare gli irriducibili.
La prima mossa dell’Agenzia delle Entrate dovrebbe essere una richiesta alla sua omologa del Lussemburgo, per conoscere nomi e dati dei contribuenti italiani titolari di conti correnti e attività finanziare nel Paese. Grazie all’accordo siglato nel 2012 sulla base degli standard Ocse, l’Agenzia può avanzare richieste di informazioni su «gruppi di contribuenti», senza indicarne i nominativi, per i quali esiste una presunzione di evasione.
Basterà poi incrociare i dati sui conti bancari degli italiani presenti in Lussemburgo dal 2014, o quelli chiusi nel frangente, con quelli della «voluntary disclosure» per individuare i recidivi. Che a questo punto, oltre a pagare tutte le tasse dovute, non potranno beneficare delle sanzioni ridotte e soprattutto dello scudo sugli eventuali reati di carattere penale. La richiesta dell’Agenzia al Lussemburgo, che avrà 60 giorni di tempo per rispondere, non è ancora stata inviata, ma sarebbe solo la prima delle verifiche internazionali che il Fisco italiano si appresta a lanciare, grazie agli accordi chiusi nei mesi scorsi.
La “pesca” successiva si farà quasi certamente in Svizzera, che ha già concesso la scorsa estate al governo de L’Aia i nomi dei contribuenti olandesi titolari di conti presso la banca Ubs. La richiesta potrà riguardare tutte le attività dei contribuenti italiani in Svizzera a partire dal 23 febbraio 2015, data della firma della convenzione tra i due governi, già ratificata. Attendono ancora il via libera parlamentare, invece, gli accordi siglati l’anno scorso con il Principato di Monaco, Liechtenstein e lo Stato del Vaticano. Quest’ultimo, per giunta, è retroattivo, perché riguarda tutte le informazioni sui contribuenti italiani a a partire dal primo gennaio 2009. I tre accordi, peraltro, prevedono espressamente la possibilità di ricorrere alle «richieste di gruppo», solo implicita negli accordi basati sugli schemi Ocse, come quelli con Svizzera e Lussemburgo.
Con le 130 mila domande di adesione alla «voluntary disclosure» sono emersi 60 miliardi di capitali detenuti all’estero. Il gettito atteso quest’anno è di 4 miliardi di euro.
La prima mossa dell’Agenzia delle Entrate dovrebbe essere una richiesta alla sua omologa del Lussemburgo, per conoscere nomi e dati dei contribuenti italiani titolari di conti correnti e attività finanziare nel Paese. Grazie all’accordo siglato nel 2012 sulla base degli standard Ocse, l’Agenzia può avanzare richieste di informazioni su «gruppi di contribuenti», senza indicarne i nominativi, per i quali esiste una presunzione di evasione.
Basterà poi incrociare i dati sui conti bancari degli italiani presenti in Lussemburgo dal 2014, o quelli chiusi nel frangente, con quelli della «voluntary disclosure» per individuare i recidivi. Che a questo punto, oltre a pagare tutte le tasse dovute, non potranno beneficare delle sanzioni ridotte e soprattutto dello scudo sugli eventuali reati di carattere penale. La richiesta dell’Agenzia al Lussemburgo, che avrà 60 giorni di tempo per rispondere, non è ancora stata inviata, ma sarebbe solo la prima delle verifiche internazionali che il Fisco italiano si appresta a lanciare, grazie agli accordi chiusi nei mesi scorsi.
La “pesca” successiva si farà quasi certamente in Svizzera, che ha già concesso la scorsa estate al governo de L’Aia i nomi dei contribuenti olandesi titolari di conti presso la banca Ubs. La richiesta potrà riguardare tutte le attività dei contribuenti italiani in Svizzera a partire dal 23 febbraio 2015, data della firma della convenzione tra i due governi, già ratificata. Attendono ancora il via libera parlamentare, invece, gli accordi siglati l’anno scorso con il Principato di Monaco, Liechtenstein e lo Stato del Vaticano. Quest’ultimo, per giunta, è retroattivo, perché riguarda tutte le informazioni sui contribuenti italiani a a partire dal primo gennaio 2009. I tre accordi, peraltro, prevedono espressamente la possibilità di ricorrere alle «richieste di gruppo», solo implicita negli accordi basati sugli schemi Ocse, come quelli con Svizzera e Lussemburgo.
Con le 130 mila domande di adesione alla «voluntary disclosure» sono emersi 60 miliardi di capitali detenuti all’estero. Il gettito atteso quest’anno è di 4 miliardi di euro.
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