Depistaggio di al-Sisi
Al Cairo l’atroce arresto, tortura e morte di Giulio Regeni è già insabbiato. Il ministro dell’Interno, Magdi Abdel Ghaffar, ha negato che esista una pista che confermi le responsabilità della polizia.
Eppure tutte le notizie che trapelano dall’autopsia italiana, dalle unghie dei piedi e delle mani strappate, alle falangi fratturate una ad una e l’orecchio mozzato fanno pensare ai metodi inconfessabili della famigerata Sicurezza di Stato egiziana (Amn el-Dawla), temuta da tutti gli egiziani e che da oggi è diventato l’incubo anche degli stranieri. Il colpo di grazia sarebbe stato inferto con l’improvvisa rotazione della testa oltre il punto di resistenza mentre la morte sarebbe sopraggiunta dopo ore di agonia.
Dagli ambienti di avvocati e difensori dei diritti umani in Egitto emerge che Giulio si trovava nel momento sbagliato e nel posto sbagliato quel terribile 25 gennaio, quinto anniversario dalle proteste, quando è scomparso. Probabilmente non lontano da piazza Tahrir e in una riunione a porte chiuse o all’aperto insieme ad almeno quaranta persone. È possibile che in quel momento sia stato fermato insieme agli altri e che in quanto straniero abbia destato sospetti. A quel punto è partito in Egitto il passaggio da un posto all’altro di detenzione fino al luogo degli interrogatori e delle torture. Gli ambienti dei sindacati indipendenti, frequentati da Giulio per motivi di ricerca, sono da tempo infiltrati dai servizi segreti militari e civili.
Questo tentativo di impossessarsi del dissenso da parte dei militari è successo in tante circostanze e modi diversi negli ultimi cinque anni. Un esempio lampante è il movimento Tamarrod (ribelli) che è stato forgiato dai militari per costringere l’ex presidente, Mohammed Morsi, alle dimissioni e che ha giustificato agli occhi dell’opinione pubblica il golpe militare del 2013. Le cellule del gruppo, nato come una raccolta firme, erano costituite proprio da giovani pagati dai militari. Da allora ogni forma di dissenso è stata impedita. Soprattutto all’interno delle fabbriche e tra i sindacati indipendenti. Prima di tutto i sindacati filo-governativi hanno visto spegnersi la loro spinta per i diritti dei lavoratori e in seguito le infiltrazioni di Intelligence hanno riguardato anche gli altri gruppi registrati o informali che sono sotto la lente di ingrandimento del regime.
È possibile che Giulio sia stato tradito da uno dei suoi contatti e che fosse attenzionato. Questo ha prolungato l’arresto trasformandolo in tortura e morte lenta che sarebbe sopravvenuta giorni dopo l’arresto. Perché non è stato lanciato subito l’allarme sulla scomparsa di Giulio? In un’intervista al manifesto l’attivista, Mona Seif, ha spiegato che è una prassi consueta aspettare prima di dare notizia pubblica della scomparsa di un congiunto.
Questa attesa tuttavia potrebbe essergli stata fatale. Nel momento in cui il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, si è attivato, cioè il 31 gennaio, per chiedere spiegazioni al suo omologo egiziano, poco dopo il cadavere di Giulio è stato fatto ritrovare in un fosso in condizioni atroci. Qui si è aperta la ridda di voci e depistaggi. Dall’incidente stradale all’atto di criminalità comune sono le spiegazioni che prima di ogni altre sono state date in pasto ai media per spiegare la morte di Giulio.
L’ultimo tentativo delle autorità egiziane è quello di avvalorare la tesi dell’omicidio a sfondo omosessuale. Secondo questa ricostruzione fasulla il corpo di Giulio sarebbe stato trovato nelle terribili condizioni di cui sopra per il giro di persone che frequentava. Addirittura i due arrestati poche ore dopo l’omicidio sarebbero proprio due persone omosessuali, in seguito rilasciate. Giulio Regeni potrebbe aver ricevuto l’attenzione dei Servizi anche per la sua affiliazione con l’Università americana del Cairo (Auc). Sono tanti i ricercatori europei che fanno riferimento all’istituzione accademica Usa in Egitto.
Tanto è vero che dopo la diffusione della notizia della morte di Giulio Regeni, dall’Auc è arrivata la richiesta a tutti i ricercatori, studenti e dottorandi che avrebbero dovuto recarsi in Egitto di fare marcia indietro e di non andare nel paese per ragioni di sicurezza.
Che oltre al ritrovamento del cadavere al-Sisi non voglia andare lo conferma il fatto che fin qui il team investigativo italiano non ha avuto vita facile in Egitto. Il pm che guida l’inchiesta, Sergio Colaiocco, ha dovuto inviare una rogatoria internazionale per poter aver accesso ai dati emersi dalla prima autopsia. Gli inquirenti italiani al Cairo hanno potuto solo visionare i tabulati telefonici e stabilire che la scomparsa di Giulio è avvenuta mezz’ora dopo aver lasciato casa, poco rispetto alle attese.
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