La Nato al confine con la Siria per gestire i profughi

La Nato al confine con la Siria per gestire i profughi

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Trentatré morti: è il bilancio degli ennesimi naufragi nel Mar Egeo. Ieri due barconi si sono rovesciati, uno lungo la costa della città turca di Dikili, e uno a Edremit, non lontano da Lesbo. Tra le vittime anche 11 bambini e 14 dispersi, che in queste ore la guardia costiera greca sta cercando di individuare.

Sale così a 374 il numero dei rifugiati morti in mare mentre tentavano la via della salvezza in Europa nel solo 2016, poco più di un mese. Un numero esorbitante come esorbitante è quello di chi è riuscito ad arrivare in Grecia vivo: secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, dall’inizio dell’anno si è toccata quota 69mila, di cui la metà siriani.

Questo fa immaginare che l’intensificarsi della guerra in Siria non farà che spingere altri disperati fuori da un paese devastato. Basta guardare al confine turco-siriano, al valico di Bab al-Salama, che negli ultimi giorni ha visto l’arrivo di decine di migliaia di persone in fuga da Aleppo. Le porte dello Stato turco restano sbarrate. Il governo di Ankara ha ripetuto ieri quanto già detto all’Europa che chiedeva l’apertura dei confini: li aiuteremo ma non in territorio turco.

L’aiuto di cui parla Ankara è la creazione di campi improvvisati al di là della frontiera: le ultime ore hanno visto aumentare le tende messe a disposizione per un numero imprecisato di profughi, oltre 45mila. Ieri l’emittente tv qatariota al Jazeera mostrava camion turchi attraversare il confine nella provincia di Kilis per portare medici e infermieri, consegnare aiuti ai siriani ammassati al valico e avviare la costruzione di tende e bagni. Al momento, però, le tende fornite dalle agenzie umanitarie non bastano: la gente fa lunghe file per riuscire ad ottenere un rifugio al freddo invernale, ma sono ancora moltissimi quelli che dormono all’addiaccio, sotto la pioggia che cade in questi giorni.

Una situazione che, in qualche modo, ricorda il progetto della zona cuscinetto che il presidente turco Erdogan aveva chiesto per mesi agli alleati occidentali, una lunga striscia di terra lungo tutto il confine all’interno del territorio siriano. Con tre obiettivi: raccogliere lì i rifugiati siriani, addestrarvi le opposizioni al presidente Assad e impedire la nascita di una stabile entità kurda a nord.

E mentre l’Egeo inghiottiva altre vite, la cancelliera tedesca Merkel faceva visita al premier turco Davutoglu con cui ha discusso dell’emergenza migranti. La Germania e la Turchia – ha detto la Merkel – dovranno utilizzare le risorse della Nato sia nel mar Egeo che al confine siriano per gestire le ondate di rifugiati in arrivo. Il maggiore coinvolgimento del Patto Atlantico potrebbe configurarsi già nei prossimi giorni: il 10 e l’11 febbraio è infatti previsto un meeting dei ministri degli Esteri dei paesi membri.

Torna la Nato, attore di prim’ordine del conflitto siriano, seppur preferisca mantenersi dietro le quinte a giocare alla guerra fredda con la Russia. Ieri la cancelliera non ha mancato di accusare Mosca per la nuova fuga di massa da Aleppo: «Non siamo solo sotto choc, ma siamo disgustati dalla sofferenza di decine di migliaia di persone dovuta agli attacchi aerei, per lo più russi». Ha poi parlato della necessità di un’azione globale per fare pressione proprio sulla Russia perché si adegui alla risoluzione Onu dello scorso dicembre sulla protezione dei civili siriani. Ovvero, un intervento diplomatico per interrompere le operazioni in corso ad Aleppo.

Difficile immaginare, però, un dietrofront del tandem Mosca-Damasco che, dopo la ripresa della cintura nord della città, prosegue nella controffensiva. L’esercito governativo è alle porte di Tal Rafaat, comunità in mano alle opposizioni, mentre continuano i bombardamenti sulle aree a nord ovest, sulle città di Anadan e Haritan.

Da parte sua la Turchia, il cui potere negoziale cresce in proporzione al numero di rifugiati, ha ribadito che li farà entrare «quando sarà necessario», rimandando tutto alla prossima settimana quando – dice Davutoglu – sarà rivelato il piano governativo per gestire l’emergenza. Di certo la Turchia, che ospita già 2.5 milioni di siriani, è al limite delle proprie capacità. Consapevole che la battaglia di Aleppo moltiplicherà i profughi tenta di cautelarsi, giocando sapientemente con l’incoerenza della Ue, che da una parte chiede ad Ankara l’apertura dei confini, ma dall’altra sa che se quelle frontiere saranno aperte i rifugiati siriani tenteranno la via del mare verso l’Europa.

Il massacro di Cizre

E mentre il mondo guarda al dramma dei profughi siriani, un altro dramma finisce nell’oblio: quello di Cizre, città kurda nel sud est della Turchia, sotto coprifuoco militare da metà dicembre. Ieri l’ennesima denuncia: l’esercito turco avrebbe massacrato 62 civili kurdi all’interno di un palazzo della città. Se le agenzie stampa turche identificavano le vittime come combattenti del Pkk, diversa è la versione del partito di sinistra Hdp: secondo il parlamentare Sariyildiz, tra domenica e lunedì le truppe turche hanno ucciso 62 civili che in quella casa avevano trovato riparo.

Nove sono morti bruciati dai missili, un bambino è stato colpito da un cecchino, mentre 30 corpi sono stati trovati bruciati. Ma le foto pubblicate ieri sui social network fanno sorgere dei dubbi: i corpi sembrano pietrificati, facendo sospettare ad alcuni che l’esercito turco abbia fatto uso di armi chimiche.



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