Pensioni, la troika ad Atene. E torna lo spettro Grexit

Una rondine non fa primavera. E la decisione di S&P di promuovere il rating della Grecia non è bastata a riportare il sorriso ad Atene. Anzi. L’orizzonte politico sotto il Partenone si è rannuvolato all’improvviso: il braccio di ferro con la Ue sui migranti e le proteste per la riforma delle pensioni fanno scricchiolare il governo Syriza. E Tsipras giocherà nei prossimi mesi la partita decisiva per traghettare il paese fuori dalla crisi o resuscitare — come molti temono — lo spettro della Grexit.
Il primo esame al premier è iniziato ieri. La troika è sbarcata nella capitale per dare l’ok a due riforme — previdenza e prestiti in sofferenza — necessarie a sbloccare gli aiuti. Il copione è il solito: senza l’ok dei creditori, Bruxelles non riaprirà il portafogli. E senza i soldi di Ue, Bce e Fmi, la telenovela della tragedia ellenica è destinata a ripartire. Appuntamento a luglio, quando con 3,5 miliardi di prestiti in scadenza non ci sarebbe la liquidità per pagare stipendi e pensioni statali. Un déja vu amaro. Ma anche un rischio serio. Tsipras è riuscito per ora a rispettare il tabellino di marcia dell’austerity. Le pensioni però sono un’altra storia: il 50% dei greci ha come prima fonte di reddito l’assegno previdenziale. E un taglio rischia di scatenare la piazza. I sintomi ci sono tutti: gli agricoltori bloccano da settimane le principali arterie del paese, ieri si sono fermati i mezzi pubblici ad Atene. I sindacati hanno convocato per domani uno sciopero generale cui hanno aderito farmacisti, notai, camionisti e dipendenti statali.
Tsipras è tra l’incudine e il martello: il paese dice no ai tagli, la troika — Fmi in testa — ne vuole di più e diversi. Lui ha provato a uscire dall’angolo salvando le pensioni esistenti e aumentando gli oneri a carico dei nuovi assunti. Lo scaricabarile generazionale però è servito a poco. Se la maggioranza Syriza-Anel scontenta i cittadini, rischia di sfaldarsi in Parlamento. Se non seguirà i diktat dei creditori, potrebbe ritrovarsi a corto di liquidità. E il corto circuito previdenziale coincide con la crisi tra Bruxelles e Atene sui migranti. La Grecia, con i suoi pochi mezzi, ha fatto miracoli salvando migliaia di vite. La Commissione però non è contenta. E ha dato tre mesi di tempo al Governo per blindare le frontiere. Se processo di identificazione e hotspot non saranno a regime, la Ue chiuderà i confini con la Macedonia e il flusso di arrivi (un milione nel 2015) si arenerà sotto il Partenone. «Costruiremo un campo profughi da 400mila persone nella capitale », minaccia l’esecutivo belga. Le conseguenze sarebbero apocalittiche per un’opinione pubblica già resa euroscettica da 5 anni di crisi e sacrifici.
Il fantasma della Grexit, appena uscito dalla porta, rischia così di rientrare dalla finestra. L’addio a Schengen e la trasformazione del paese in «un cimitero di anime», copyright del ministro dell’immigrazione Mouzalas, è per molti falchi del Nord un’opzione reale. Lo stesso ministro tedesco delle finanze Schaeuble aveva ventilato una sospensione temporanea dall’euro di Atene.
Dietro le quinte però sta prendendo quota l’ipotesi di un do ut des: la Ue potrebbe offrire a Tsipras un taglio al debito in cambio dell’impegno a gestire in Grecia l’emergenza profughi. Pura merce di scambio in una partita dove denaro e voti alle elezioni contano più dei valori.
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