Sala, semplificazione manageriale

by Aldo Bonomi, il manifesto | 10 Febbraio 2016 11:22

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Siamo in balia dei flussi, verrebbe da dire guardando al mese appena passato dal mio ultimo articolo sul manifesto sulle primarie di Milano, concluse con la vittoria dell’”uomo dei flussi”, il manager Beppe Sala. La finanza è un flusso, ce l’ha insegnato la grande crisi, lo spread e, se non avevamo ancora capito, l’ultimo mese con il tormentone delle sofferenze bancarie che riguardano mutui, imprese, famiglie. Il risiko bancario, ha in Milano il luogo di riferimento. L’Expo è stato un flusso nel circuito degli eventi globali, che Milano ha governato, supportato e sopportato, con successo.

Da qui la notorietà dell’uomo Expo. Ben 150 quartier generali della old e new economy atterrano a Milano. Le reti della logistica, dall’alta velocità ai magazzini di Amazon, sino agli aeroporti con la SEA a capitale pubblico e A2A per l’energia, con temi come il riuso degli spazi ferroviari, sono nodi di rete che precipitano a Milano. Ma anche le migrazioni e i profughi alla Stazione Centrale, da “Rocco e i suoi fratelli” ai nuovi cittadini che chiedono la moschea, ai cinesi che votano in nome dei loro interessi commerciali, sino agli apolidi, fanno scandalo per Salvini, ma sono parte della Milano che viene.

La crisi fiscale della città ha in Milano un luogo emblematico, con l’Europa e lo Stato centrale che tagliano trasferimenti e welfare lasciando in mano al sindaco il cerino acceso dei tagli dei servizi e l’aumento delle tasse. Così come la crisi ecologica, per cui il tema della green economy impone il massimo di innovazione dei modelli di sviluppo e mobilità, a cui non si può rispondere con il massimo di arcaicità facendo la danza della pioggia per abbattere le polveri sottili. Il tutto avviene con la metamorfosi e il cambiamento di spazio di posizione della città verso l’area metropolitana, che il candidato sindaco dovrà accompagnare e realizzare. L’elenco potrebbe continuare con l’aumento dei numeri della povertà (2,2 milioni al’anno i pasti serviti nelle mense per i poveri, circa 2.700 homeless e 85mila profughi accolti), l’aumento dei senza casa e i disoccupati, dei precari, delle nuove e vecchie professioni, che sono ciò che i flussi lasciano sul territorio, nei luoghi e nei quartieri.

Ma la nuova composizione sociale è fatta anche di economia leggera: 553 startup innovative, oltre 70 spazi di co-working, 9 fab-lab, e una composizione sociale del lavoro sempre più impegnata in attività terziarie ad alta intensità di conoscenza (52% degli occupati). E’ la discontinuità epocale che ci aspetta. L’elencazione un po’ in sociologese del paradigma flussi e luoghi, mi porta ad una constatazione: i tre candidati alle primarie si sono confrontati con le loro storie e narrazioni in questo spazio pubblico. Sala come uomo Expo, con in più capacità manageriali nelle imprese e nell’amministrazione pubblica, la Balzani con la sua esperienza europea e cittadina di bilanci e governance e Majorino, partendo dal mezzanino della Stazione Centrale, con un racconto della città dei diritti. Ha vinto Sala.

Questa vittoria interroga la sinistra, ben al di là dell’operazione matematica, che non è sommatoria statistica di interessi e passioni, che sommando risultati Balzani+Majorino o viceversa, sarebbe stato altrimenti. Piero Bassetti ha sostenuto che Pisapia è stato liberatore di Milano dal forza leghismo e che Sala può essere il costruttore della Milano che verrà nella discontinuità epocale. Mi pare importante introdurre la tesi che condivido di Michele Mezza sull’Hufftington Post che la vittoria di Sala stia anche nel passaggio di crisi della politica e dei partiti di questi anni «dalla rappresentanza sociale alla semplificazione manageriale». Tema che va dall’Europa della trojka e della tecnocrazia alla Milano dove, non sarà un caso, si confronteranno nelle candidature che si stanno delineando tre uomini dei flussi: Sala Expo, Parisi Fastweb, Passera banche. Dobbiamo quindi rassegnarci solo ad un confronto tra innovatori dall’alto?

Con Passera e i suoi manifesti che già tappezzano Milano dicendo che se hai paura è colpa della sinistra, Parisi (se sarà lui), con le esperienze di city manager con Albertini, con in più un po’ di rancore alla Salvini verso i cinese e le moschee, supportato dal Del Debbio e le sue trasmissioni di populismo soft? E accontentarci dello slogan di Sala «innovazione ed inclusione» (copyright Cristina Tajani)? Oppure dedicarci al costruire la forma delle rappresentanze sociali che verrà? Lasciando ad altri il racconto di Milano disegnata come un arazzo della modernizzazione, dimenticandoci della trama e dell’ordito, che altro non è che la rappresentazione sociale che sta dietro al disegno di Milano città dei flussi?

Sono convinto che non si dà rappresentazione senza rappresentanza sociale. La cifra caratterizzante dell’esperienza Pisapia a Milano, la continuità cui tutti i candidati alle primarie hanno fatto riferimento, stava in un punto: l’area del centro sinistra era largo a sinistra e stretto al centro, non per pura geometria politica ma per una politica che permettesse di dare voce e ruolo alla rappresentanza sociale dei processi nella discontinuità dei cambiamenti. Il che significa che innovazione e inclusione non sono parole vuote ma piene di significato, che rimanda al per chi si innova e con chi si disegna la città che viene, con quale visione della società e con quale peso e ruolo della rappresentanza sociale.

La questione, la contraddizione si sarebbe detto un tempo, tra semplificazione manageriale e rappresentanza sociale non può essere banalizzata e sceneggiata, come ho sentito dire da alcuni, con Sala il manager all’innovazione e Majorino alla caritas cittadina, che so benissimo portatore di ben altra visione non riconducibile ad una inclusione compassionevole. Occorre scomporre e ricomporre partendo dai flussi della discontinuità che impattano nei luoghi e sulla società che viene con una visione e un programma che abbia chiaro che Milano è la città soglia del sistema paese, tra l’Europa del burro e l’Europa dell’olio, tra Bruxelles e Mediterraneo. Metafora geoeconomica che riguarda anche le funzioni delle città in cambiamento nella discontinuità epocale, ove ogni Nord cerca un suo Sud partendo dai flussi, che dall’alto ridisegnano luoghi e forme di convivenza.

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