Siria, doppio attacco contro gli sciiti

Siria, doppio attacco contro gli sciiti

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GERUSALEMME Uno sciame di kamikaze e autobomba ha seminato la morte nelle strade di Damasco e di Homs. E’ la risposta dello Stato Islamico all’avanzata di governativi e curdi a nord, nella strategica provincia di Aleppo ai confini con la Turchia. Una vendetta feroce sulla popolazione civile, oltre cento i morti, trecento i feriti che hanno affollato gli ospedali di Homs dove le autobomba sono state due, e di Damasco dove le esplosioni sono state quattro, tre provocate da kamikaze che si sono fatti saltare in aria dei pressi di un santuario sciita.

In questa guerra di tutti contro tutti senza più limiti, l’annuncio del segretario di Stato Usa John Kerry che «una tregua è possibile nei prossimi giorni» appare una sommessa preghiera, quasi una supplica. Una tregua è già fallita venerdì scorso e le condizioni sul terreno non sono cambiate: l’esercito di Bashar al Assad aiutato dalla Russia, dagli Hezbollah libanesi avanza in tutto il paese.

La doppia strage di ieri mattina è stata rivendicata con macabra puntualità dal “dipartimento media” del Califfato sui social network. Le autobomba a Homs hanno colpito il quartiere alawita – la minoranza a cui appartiene Assad – di Al Zahra, provocando oltre 60 morti. A Damasco sono entrati in azione due o tre kamikaze con un bilancio che diventa di ora in ora più drammatico: oltre 60 morti perché le esplosioni sono avvenute in contemporanea con l’uscita degli studenti dalle scuole. L’area è quella del quartiere Sayyda Zeinab, nella periferia sud della capitale dove si trova un santuario sciita che contiene le spoglie di una nipote del Profeta Maometto.

Nel resto del paese, specie nella provincia di Aleppo, dilagano i combattimenti fra le forze del regime e i ribelli che appaiono militarmente indeboliti, come i miliziani del Califfato e del Fronte Al Nusra. La Turchia che ha sempre sostenuto i ribelli jihadisti bombarda da giorni un settore della frontiera con la Siria che sta per cadere in mano curda.

Questa situazione molto complessa sul terreno rende difficile l’attuazione di un accordo che sia accettabile per tutte le parti, nonostante gli sforzi di Stati Uniti (che appoggiano i curdi) e delle Nazioni Unite. Il capo della diplomazia Usa professa ottimismo, facendo capire che il presidente Obama e Putin potrebbero parlarsi presto per definire i termini di una tregua.

Ma con i governativi che giudicano difficile la sua applicazione, l’opposizione che chiede condizioni impossibili e la galassia jihadista fuori controllo, sarà davvero difficile vedere tacere le armi.



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