Missione in Libia, Italia alla guida

by Chiara Cruciati, il manifesto | 2 Marzo 2016 9:58

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L’Occidente si affolla lungo le coste libiche. Aumentano le truppe, aumenta la pressione militare. Dopo le rivelazioni di Le Monde riguardo la partecipazione dei soldati francesi agli scontri via terra a Sabratha e Bengasi, Parigi manda la portaerei De Gaulle di fronte alle spiagge libiche.

Lo rivela Debka File, sito di informazione militare israeliano: sarebbero in corso addestramenti congiunti con la marina egiziana, che nel Canale di Suez impiega la fregata Tahya Misr, dotata di sistema missilistico antiaereo. Torna così a galla, prepotentemente, il ruolo del Cairo, burattinaio del generale Haftar e di conseguenza del riottoso parlamento di Tobruk.

E all’Italia l’ordine arriva direttamente dal Pentagono: lunedì Ashton Carter ha dato la benedizione alla formazione di una coalizione guidata da Roma che si lanci in una nuova avventura libica. Il segretario alla Difesa Usa ha detto che Washington «appoggerà con forza» l’Italia che «si è offerta di assumere la guida in Libia». Ovvero la guida di una coalizione che intervenga contro l’avanzata dello Stato Islamico e metta in sicurezza i giacimenti petroliferi.

Su questo punto Carter ammette le riserve libiche: «Ai libici non piace l’idea di un intervento esterno straniero e che qualcuno entri nel paese per prendersi il petrolio. Ma quando il governo sarà nato, speriamo presto, chiederà l’aiuto internazionale».

La conferma è giunta ieri dal ministro degli Esteri Gentiloni: «Il livello di pianificazione e di coordinamento tra i diversi sistemi di difesa su un possibile contributo alla sicurezza della Libia è a un livello molto avanzato che va avanti da parecchie settimane». L’Italia, ha aggiunto, è pronta ad intervenire su richiesta del nuovo governo libico.

Richieste ufficiali o meno, siamo già sul piede di guerra: da oltre un mese l’Italia ha messo a disposizione degli Usa la base di Sigonella per lanciare azioni contro l’Isis. Azioni meramente «difensive», specifica il governo di Roma senza spiegare però cosa significhi auto-difesa nel caso di un gruppo jihadista che opera in un altro paese. Così si è giunti, senza autorizzazione né internazionale né tantomeno libica, al raid su Sabratha del 19 febbraio. In più, come spiega al Wall Street Journal il generale Bolduc, comandante delle forze speciali Usa in Africa, a Roma è già stato inaugurato il Centro di Coordinamento della Coalizione.

L’operazione è già sul tavolo. Le fonti militari citate da Debka File raccontano di una campagna in fieri e vicina alla sua definizione: «Le navi da guerra egiziane si sono spostate nel Mediterraneo dopo che il presidente francese Hollande e l’egiziano al-Sisi sono avanzati nei piani di attacco congiunto con l’Italia alle postazioni Isis in Libia. I tre poteri si sono accordati per lanciare l’offensiva tra fine aprile e maggio».

Intanto la Germania è pronta ad inviare in Tunisia, dice il governo di Tunisi, unità speciali che addestrino le truppe libiche a combattere l’Isis. E, notizia di ieri, la Gran Bretagna ha mandato 20 uomini ad addestrare i militari tunisini alla sorveglianza della frontiera con la Libia e ad impedire sul campo l’infiltrazione di miliziani islamisti.

Il fronte Parigi-Roma-Il Cairo potrebbe fare da testa d’ariete dell’intervento occidentale, bramato da molti e in stallo per le difficoltà dei parlamenti di Tobruk e Tripoli a trovare un accordo definitivo sul governo di unità nazionale. A frenare è soprattutto Tobruk, l’esecutivo riconosciuto dalla comunità internazionale, che non ha ancora dato l’ok alla proposta mossa dal premier designato al-Sarraj.

Anzi, ieri per la seconda volta in due settimane non si è espresso per mancanza del quorum necessario al voto. Non sono pochi quelli che immaginano che dietro ci sia il boicottaggio del generale Haftar e quindi del Cairo, intenzionati ad ottenere maggiore influenza sul governo che nascerà.

Se ad aprire le danze in Libia sarà il cane a tre teste (francese, egiziana italiana), si prefigura un radicamento dello speciale rapporto che lega il nostro paese al generale golpista al-Sisi. A farne le spese potrebbero essere le indagini sulla brutale uccisione di Giulio Regeni, già ostacolate dalle autorità egiziane.

Sul piano internazionale le preoccupazioni riguardano il possibile tracollo della Libia se costretta a subire un nuovo intervento internazionale: il primo spazzò via il sistema istituzionale del paese, scoperchiando il vaso di Pandora di poteri tribali, paramilitari, secessionisti, islamisti. E il secondo non promette nulla di buono: difficile che chi ha combinato il pasticcio ora ci metta una pezza. Più probabile che la capacità attrattiva dei gruppi jihadisti trovi nuova linfa e che le svariate autorità che gestiscono un paese a pezzi ostacolino l’accidentato percorso verso la stabilizzazione.

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