La Cedu chiude il caso. Ma il caso non è chiuso
«L’Italia da maglia nera per sovraffollamento carceri diventa modello per altri Paesi. Oggi #Cedu chiude il caso e apprezza nostre riforme», ha twittato ieri il ministro di Giustizia Andrea Orlando.
A cosa si riferisce la frase? Ripercorriamo brevemente i fatti: nel maggio 2013 diventa definitiva la sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale condanna l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea (trattamenti inumani e degradanti) in relazione al sovraffollamento carcerario. Contestualmente, col meccanismo della sentenza pilota, lascia alle autorità italiane un anno di tempo per risolvere il problema – che definisce «sistemico» e non occasionale – e per trovare un meccanismo interno capace di porre fine alle violazioni e di risarcire chi le ha subite. Un anno dopo, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, organo incaricato di valutare gli adempimenti delle sentenze Cedu da parte degli Stati membri, promuove l’Italia con riserva: le misure prese vanno nella giusta direzione, ma ancora c’è da stare a vedere cosa accade nei mesi seguenti.
Il Governo italiano continua ad aggiornare periodicamente Strasburgo sullo stato dell’arte. Alla fine dello scorso anno, manda un documento nel quale racconta i nuovi numeri della popolazione carceraria a seguito delle riforme intraprese. Nessun detenuto, scrive il Governo, vive più sotto i 3 metri quadri di spazio a disposizione (parametro al di sotto del quale la Corte configura automaticamente la violazione dell’art. 3), ma poco meno di 9.000 persone nelle carceri italiane hanno tra i 3 e i 4 metri quadri, comunque al di sotto dello standard di accettabilità del Consiglio d’Europa.
Oggi il Comitato dei Ministri si dice comunque soddisfatto del percorso compiuto e archivia definitivamente la sentenza Torreggiani. L’Italia ce l’ha fatta.
E noi ce ne rallegriamo. Ma non rallegriamocene troppo. Non c’è dubbio che gli ultimi tre anni abbiano costituito la più grande stagione riformatrice sul tema carcerario quanto meno dalla legge Gozzini in poi. Si è messo mano alla custodia cautelare; si sono allargate le maglie delle misure alternative; si è cercato di ripensare la vita quotidiana in carcere all’insegna della responsabilizzazione e della normalità; si è nominato Mauro Palma Garante nazionale delle persone private della libertà; si è chiesto a tante figure culturali diverse, attraverso quella consultazione che va sotto il nome di Stati Generali sull’esecuzione penale, come immaginassero un nuovo carcere in vista di riforme ancor più radicali.
Detto ciò, bene fa il Guardasigilli Orlando a sottolineare che c’è ancora tanto da fare per rendere la pena qualcosa di sensato come chiedevano i costituenti. Chi visita il carcere quotidianamente come noi vede tante cose che non vanno: salute negata, lavoro che non c’è, progetti educativi insufficienti, percezione di violenza. Diminuito lo sguardo pressante dell’Europa, si rivede quella forma di inedia che chi frequenta le galere conosce bene, tanto nelle singole direzioni di carcere quanto in Senato, dove il ddl delega sulla riscrittura dell’ordinamento penitenziario è da troppo tempo fermo.
Così come ferma è da quasi un anno la discussione a Palazzo Madama per l’introduzione del delitto di tortura nel codice penale. Su questo tema è invece aperto un fronte di giustizia europea.
*Coordinatrice nazionale Antigone
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