Voglia di welfare nelle piccole imprese baby sitter e badanti con i buoni pasto

Voglia di welfare nelle piccole imprese baby sitter e badanti con i buoni pasto

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In principio c’erano la palestra, in corso d’inglese, il maggiordomo aziendale che al mattino passava in ufficio a ritirare le camicie sporche e le riportava alla sera lavate e stirate. Benefit per fortunati dipendenti d’imprese d’avanguardia (da Luxottica a Ferrero). Ora ci saranno soprattutto i voucher per le baby sitter dei figli e per le badanti degli anziani genitori. Servizi essenziali da mettere a disposizione anche della miriade di piccole imprese che compongono il sistema produttivo italiano. Un business tutto da conquistare, atteso al varco da molti operatori, e tanto più vasto quanto più crollano gli investimenti dedicati al welfare pubblico.

La legge di Stabilità che ha introdotto la detassazione al 10 per cento del salario legato alla produttività, precisa che il lavoratore, se vuole, può destinare quella parte di retribuzione accessoria alla previdenza integrativa e alla sanità complementare. O di trasformarla, appunto, in voucher totalmente esentasse da utilizzare per ottenere servizi. Considerando che una recente analisi Censis-Unipol sottolinea che solo il 19 per cento degli italiani pensa che il welfare pubblico riesca a garantire tutti ciò di cui abbiamo bisogno, la scelta del voucher sembra destinata ad andare per la maggiore. E infatti già si è scatenata la corsa al cliente. Le piccole imprese, al contrario delle grandi, non hanno al loro interno le strutture necessarie per fornire i servizi alla persona. Serve qualcuno che organizzi il tutto, che raccolga le domande e metta in rete le risposte. I candidati sono tanti: dalle imprese del terzo settore alle start-up innovative, alle aziende che fino ad oggi hanno gestito soprattutto il caro, vecchio buono-pasto: il benefit più conosciuto degli italiani.

Il sistema delle cooperative è in prima linea: pronto a vendere sul territorio quello che già realizza al suo interno. L’esperienza c’è: dal sistema di welfare “Piùperte” messo a disposizione dal colosso Coop Alleanza 3.0 ai suoi 22 mila addetti (l’offerta va dall’assistenza ai familiari alle borse studio per i figli), alla piccola Agca Gallura che durante la raccolta del sughero manda a casa delle dipendenti baby sitter disposte a coprire gli straordinari del sabato. I contatti per allargare il business alle aziende grandi e piccole che chiedono una mano sono già avviati (riunioni con Enel e Microsoft). Sulla rampa di lancio anche Qui!Gruop e Edenred, colossi dei buoni pasto. La prima mette a disposizione la piattaforma Mywelfare: «Tra i vari strumenti pensati per le aziende e per il dipendente, abbiamo studiato soluzioni di “welfare 2.0”, innovative, molte delle quali accessibili anche alle aziende con budget ridotto , che fanno risparmiare perché abbattono i costi di gestione dei piani ». Edenred, nota in Italia per il Ticket Restaurant, con il suo «Voucher universale per i servizi di assistenza alla persona» è invece pronta ad esportare in Italia il modello che già adotta in Francia dal 2005. L’idea è quella di mettere insieme, con un solo voucher, servizi all’infanzia, assistenza al domicilio, pulizie della casa e piccoli lavori di manutenzione, cucendo assieme risorse e strutture pubbliche e private accreditate. In Francia ha funzionato: lo utilizzano 8 milioni di famiglie, ha creato più di centomila nuove partite Iva e posti di lavoro qualificato l’anno e ha prodotto un punto di Pil aggiuntivo.

Soluzioni per tutti a costi contenuti, assicurano gli operatori. In realtà il sistema presenta dei rischi. Per Emanuele Pavolini professore di Sociologia dei processi economici all’Università di Macerata: «Il welfare aziendale è una scommessa giusta, da fare, ma può innescare una crescita delle diseguaglianze. Non tutte le imprese riusciranno o vorranno realizzarlo su standard alti: ci saranno differenze fra Nord e Sud, fra settori innovativi ad alta produttività e settori maturi a produttività bassa, fra lavoratori a tempo determinato e indeterminato che non avranno lo stesso accesso ai servizi». Nel valutarne l’impatto, soprattutto sul settore sanitario, va tenuto conto del fatto che veniamo da 15 anni di tagli e che «gli investimenti pro-capite in sanità sono un quinto in meno di quelli dell’Europa occidentale. La defiscalizzazione del welfare aziendale potrebbe sottrarre ulteriori risorse a queste voci». Quindi «se alle spalle di questo sistema non ci sarà un welfare pubblico forte, rischieremo di creare cittadini di serie A e di serie B. Così non è stato nei paesi Scandinavi, ma le esperienze dell’Europa e degli Usa ci avvertono che il pericolo è dietro l’angolo»

 



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