BRUXELLES ECCOLO l’ex uomo più ricercato d’Europa. Salah Abdeslam compare di fronte al giudice per le indagini preliminari di Bruxelles ancora con la felpa bianca con la quale è stato arrestato l’altro ieri nel cuore di Molenbeek, quartiere di Bruxelles ad alto tasso di immigrati magrebini e già ribattezzato capitale del Belgistan.
FINO a mezzogiorno e mezzo di ieri non ha spiaccicato una parola con gli inquirenti belgi. Questa la linea concordata venerdì sera in una breve telefonata dall’ospedale di Saint-Pierre con l’avvocato Sven Mary. «Ho avuto paura che mi volessero uccidere», aveva detto a poche ore dall’arresto al legale fiammingo, da queste parti una star mediatica per avere difeso i più malfamati delinquenti del regno belga. Dopo essersi offerto di difenderlo quando ancora era latitante, Mary è rimasto in contatto con il fratello di Salah, Mohamed, dipendente del comune di Molenbeek che dalla strage del 13 novembre si è messo in malattia.
Così Salah prima tace, venerdì sera e ieri mattina non risponde agli investigatori. Inizia a parlare solo quando a mezzogiorno e mezzo si accomoda con il legale davanti al giudice federale in avenue de la Couronne. Abdeslam dice di essersi rilassato solo in ospedale dopo mesi di «stress e paura».
La sua difesa per ora resta vaga, non va a fondo nel racconto della notte del 13 novembre e dei 127 giorni di fuga. «Ma non voglio essere estradato in Francia », afferma. La spiegazione che elabora insieme a Mary sembra individuare un movente politico, maturato nei quattro mesi successivi alla strage di Parigi. «In Francia c’è un pregiudizio nei miei confronti, per loro sono già colpevole, non c’è presunzione di innocenza». Una tesi del tutto soggettiva che prova a giustificare così: «Perché le autorità francesi vogliono solo me e non anche gli altri che sono stati arrestati?». Salah si riferisce alle tre persone che lo hanno aiutato nella fuga — Hamza Attou, Mohamed Amri, Ali Oulkadi — e sono finite in manette in Belgio.
Ma in realtà a spaventarlo è soprattutto il regime carcerario francese ben più duro di quello belga. Salah preferisce andare nel carcere di massima sicurezza di Bruges, dove sarà sì posto in una cella di isolamento, ma vicina a quella di altri jihadisti arrestati negli ultimi tempi, come il killer del museo ebraico di Bruxelles Mehdi Nemmouche, con i quali spera di poter scambiare qualche parola attraverso le porte blindate.
La linea con Mary non è improvvisata: il legale, come aveva scritto il quotidiano belga “Le Soir” a gennaio, è stato in contatto indiretto con Salah per diverse settimane, attraverso la fitta rete di conoscenze dello jihadista belga-marocchino. Davanti al giudice si parte dalla notte del 13 novembre. Abdeslam fornisce la prima versione sul suo ruolo nei commando degli attacchi parigini. «Dovevo farmi esplodere allo Stade de France» rivela.
E cos’è successo? lo incalza il gip. «Ho deciso di non farlo all’ultimo momento», la risposta di Abdeslam che non lo dice chiaramente, ma fa capire che a bloccarlo è stata la paura di suicidarsi. E perché non si è consegnato? «Aveva paura di essere ucciso dalla polizia», si lascia sfuggire Xavier Van Der Smissen, avvocato penalista e collaboratore di Mary. Non a caso l’arresto è avvenuto nel cuore di Moleenbek, fanno notare gli uomini che lavorano alla difesa di Salah tirando acqua al loro mulino. «E se lo avessero freddato lì, nel suo quartiere, ci sarebbe stata una rivolta popolare ».
La sensazione che emerge in queste ore è dunque che Abdeslam non si sia mai mosso da Moleenbek, dove è nato, cresciuto, dove abitano la madre, la sorella e il fratello che da settimane gli chiedeva di arrendersi. La sua ristretta fuga è arrivata al massimo a Forest, quartiere limitrofo dove martedì la scientifica ha trovato le sue im- pronte aprendo le porte all’arresto di tre giorni dopo.
Salah dunque ha deciso di parlare, ma appare anche la sua strategia difensiva: iniziare a collaborare con la polizia belga per evitare l’estradizione, scambiare la sua conoscenza con la garanzia di non essere portato in Francia. Una possibilità remota vista la pressante richiesta di François Hollande poche ore dopo l’arresto.
Ma intanto l’avvocato Mary spera di guadagnare tempo. «L’estradizione potrebbe essere sospesa in attesa degli sviluppi dell’inchiesta in Belgio» dice Mary che vuole risvegliare un goffo patriottismo: «Basta inginocchiarsi alla Francia». La battaglia per portare Abdeslam a Parigi durerà due o tre mesi. Intanto, domani o martedì potrà incontrare i familiari nel carcere di Bruges.
Gli investigatori sono attenti nel valutare la presunta collaborazione del jihadista con la giustizia. «Bisogna prendere con precauzione le prime dichiarazioni di Abdeslam», commenta il procuratore di Parigi François Molins.
Il decimo uomo dei commando del 13 novembre, che si nascondeva in una cantina della rue Quatre-Vents, custodisce ancora molti segreti.
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L’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite si è pronunciato oggi per un’indagine sulle circostanze “non chiare” della morte di Muammar Gheddafi. “Ci sono quattro-cinque versioni diverse. C’é bisogno di un’indagine” ha detto oggi a Ginevra il portavoce dell’Alto commissario, Rupert Colville.