«Per Dilma è finita» Si ritirano gli alleati, corsa all’impeachment

«Per Dilma è finita» Si ritirano gli alleati, corsa all’impeachment

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RIO DE JANEIRO Il conto alla rovescia per il governo di Dilma Rousseff in Brasile è già cominciato, tra il processo di impeachment e il graduale ritiro dell’appoggio politico alla «presidenta», in una battaglia che sta dilaniando il Paese. Il governo e il leader storico Lula parlano di «golpe», perché le imputazioni sarebbero pretestuose. In effetti la Rousseff finisce sotto accusa del Congresso per eccesso di spesa pubblica e maquillage del bilancio dello Stato, il che non è proprio un comportamento così raro in un governo. Le ragioni per volerne la testa sono in realtà altre: una crisi economica senza vie d’uscita, lo scandalo Petrobras che avanza verso il cuore del potere, la pressione delle piazze e la drammatica impopolarità della leader. L’opposizione sostiene invece che il processo per far cadere la Rousseff è legittimo e costituzionale.

Se il sistema politico brasiliano non fosse un presidenzialismo puro, Dilma sarebbe caduta ieri, quando il principale partito alleato ne ha ritirato ufficialmente l’appoggio. Il Pmdb ha sette ministri e centinaia di incarichi nel governo federale: è un grande centro che può assumere qualunque posizione e il suo contrario. Dopo mesi di travaglio ora il partito ha deciso di appoggiare l’impeachment e aprire la strada affinché assuma il potere il vicepresidente, e cioè Michel Temer, un proprio membro. Ieri è stato come togliere la spina a Dilma, ma la luce non salta di colpo perché il processo è complicato. Entro metà mese la Camera dovrebbe raccogliere due terzi dei voti, per passare poi la palla al Senato. Se anche la seconda camera dicesse sì all’impeachment, la Rousseff avrebbe sei mesi di allontanamento temporaneo dal potere per potersi difendere dalle accuse. Se quindi mantenesse la promessa («non mi dimetterò mai prima del tempo»), il Paese si troverebbe ad ospitare le Olimpiadi di agosto in un quasi vuoto di potere e nel mezzo di una guerra politica. Ma dei Giochi in questo momento non importa nulla a nessuno in Brasile, e tantomeno alla sua classe dirigente.

In un Paese dove tra gli stessi 65 membri della commissione speciale per l’impeachment ce ne sono 37 indagati, e dove tutto il processo è gestito da un presidente della Camera, Eduardo Cunha, al quale sono state trovate tangenti per milioni di dollari in conti svizzeri, è quanto meno discutibile che l’attenzione sia centrata sulla Rousseff, la cui integrità personale non è in discussione. A meno che il prosieguo delle indagini non dimostrino che la sua campagna elettorale è stata effettivamente finanziata dalle tangenti Petrobras. Ma se così fosse, anche il vice Temer ne sarebbe coinvolto. Il suo partito ha almeno lo stesso numero di politici coinvolti negli scandali del Pt di Lula-Dilma.

La Rousseff intende battersi per resistere fino all’ultimo, ed è convinta che anche il suo mentore Lula non abbia alternative, inseguito com’è dalle procure. L’ex presidente intende lavorare per strappare voto per voto e affossare l’impeachment. Ha dichiarato che poco importa se la giustizia approverà o meno la recente e polemica nomina a ministro (se ne dovrebbe sapere qualcosa oggi). In ogni caso agirebbe dietro le quinte, per tentare di tenere insieme i pezzi della ex coalizione. Il gran numero di partiti (34) rappresentati al Congresso di certo non aiuta, ma Lula è convinto di poter realizzare un ultimo miracolo.

Rocco Cotroneo



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