«Ho accarezzato Giulio e gli ho dato l’ultimo bacio» Così mamma Paola ha iniziato la sua battaglia

by Giusi Fasano, Corriere della Sera | 31 Marzo 2016 9:27

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Una donna davanti al «dolore necessario», come dice lei. Una prova di forza fra le sue emozioni e l’oscenità della morte. Paola poteva scegliere di non farlo e invece no, «se non l’avessi guardato in faccia mi sarei sentita una vigliacca come mamma». Non poteva non salutare un’ultima volta Giulio, il figlio adorato e perduto per sempre. «Siamo andati io e Claudio, l’abbiamo baciato e accarezzato». Riconosciuto, anche se «quel viso piccolo piccolo non era più lui», a parte «la punta del naso».

Se sei condannata a sopravvivere alla morte di tuo figlio, se nessuno ti sa spiegare chi e perché l’ha ucciso, è facile che essere te stessa diventi essere «la madre di..». Lei no. Lei è Paola, prima di essere la madre di Giulio.

Paola. Una combattente, con le parole gentili per dichiarare guerra alle menzogne, con un dettaglio che da solo racconta la storia intera, con il suo «blocco del pianto» che «chissà perché, poi… proprio io che mi sono commossa mille volte per una canzone o il disegno di uno dei miei bambini a scuola».

Eccola, Paola, la madre di un ragazzo «che poteva dare una mano al mondo» e che invece è tornato a casa in una bara. Di lei sappiamo poco, l’abbiamo sentita parlare per la prima volta soltanto due giorni fa, con la sua conferenza stampa in Senato, eppure ci sembra di conoscerla da sempre. Si chiama empatia, questa signora con la sciarpetta gialla in onore di Amnesty International e i toni pacati sa come entrare in sintonia con gli altri.

Come ha fatto per una vita con i bambini nelle scuole statali infantili, a cominciare dalla Scuola Collodi di Monfalcone, la città dov’è nata e ha vissuto prima di trasferirsi con suo marito Claudio a Fiumicello, 15 chilometri più in là e in mezzo il fiume Isonzo.

La maestra Paola ha sempre avuto pazienza da vendere e curiosità per gli esperimenti educativi che tenessero conto di creatività e relazioni umane, la sua vera grande passione. Ha lavorato come formatrice in Friuli e in Slovenia per l’apprendimento della lingua italiana e per capire perché i bambini l’hanno sempre adorata basterebbe questa sua convinzione: «Chi l’ha detto che per imparare bisogna essere sempre seri? Che non si può apprendere con divertimento?». Se lo chiedeva in una vecchia intervista su un progetto che riguardava la metodologia e le relazioni affettive.

L’avevano interpellata come «teacher di eccellenza» e chiunque abbia avuto a che fare con lei come insegnante giura che lo fosse davvero. Quando lavorava, certo, ma anche adesso che è in pensione e che in realtà si dà da fare il doppio: per i bambini e l’insegnamento precoce dell’inglese, per organizzare corsi o iniziative culturali nel suo Comune, per l’associazione Voci di Donne che si occupa di impegno civile, per la realizzazione di un asilo nido, perfino per il direttivo della società di pattinaggio locale.

Fare, fare, fare. E cercare sempre le parole e le azioni migliori che si può. Paola ha provato a farlo anche con la politica, candidandosi in una lista civica di sinistra negli ultimi due appuntamenti per le elezioni amministrative. Non puntava certo a una poltrona ma voleva partecipare alla stesura del programma, aiutare i consiglieri eletti a realizzare progetti anche piccoli ma di qualità: ecco, a questo ha sempre puntato l’insegnante visionaria di Fiumicello che tutti conoscono.

In questi mesi senza più Giulio, in queste settimane di vita vissuta a caccia di una verità mai stata all’orizzonte, Paola non ha arretrato di un passo sulla sua prima regola di vita: l’apertura al mondo, sempre. «Nonostante tutto non dirò mai che sarebbe stato meglio non lasciarlo andare» le hanno sentito ripetere gli amici più cari, orgogliosa più che mai degli studi di suo figlio, delle tante lingue che Giulio aveva imparato viaggiando, arabo compreso. Paola era ammirata dall’attitudine di quel ragazzo per le relazioni umane e l’idealismo. E per Giulio quelle qualità sono state necessarie per arrivare al Collegio del Mondo Unito (nella sede del New Messico), scuola esclusiva per ragazzi che arrivano da tutto il mondo e che prima di essere studenti sono talenti selezionati, mossi dal desiderio di sviluppare relazioni e ricerche sociali, politiche, sindacali.

Le stesse che ha coltivato nel tempo sua madre, donna dall’energia contagiosa. Forte anche mentre pensa alle ultime ore del suo Giulio, quando immagina lui davanti alla certezza «che una porta non si sarebbe più aperta». Un pensiero che «mi fa male, mi tormenta giorno e notte».

Giusi Fasano

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