In Belgio dopo le dichiarazioni dell’«innocente» Erdogan è terremoto: dimissioni (respinte) nel governo

by Gabriele Annicchiarico, il manifesto | 25 Marzo 2016 8:58

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BRUXELLES È un vero e proprio terremoto politico quello che ha investito il governo federale del Belgio, in seguito alle dimissioni del ministro dell’interno Jan Jambon, in quota NVA (partito separatista fiammingo di estrema destra), ed il ministro della giustizia Koen Geens in quota CD&V (partito liberale di lingua fiamminga), prontamente respinte dal primo ministro Charles Michel, in quota MR (partito di centro-destra di lingua francofona).

Le dimissioni congiunte sono arrivate in seguito alla notizia, apparsa sui media locali, dell’estradizione di uno dei kamikaze entrato in azione all’aeroporto di Bruxelles, Ibrahim El Bakraoui, fermato in Turchia nel 2015 al confine con la Siria e poi inviato in Belgio.

La notizia, ufficializzata dal governo turco – che prova ad assurgere come istanza «antiterrorista» dopo aver utilizzato i foreign fighters e l’Is in Siria e contro i kurdi – ha scatenato una serie di reazioni politiche che hanno messo sotto i riflettori i due ministeri colpevoli di lassismo e superficialità nella gestione dei presunti foreign fighters rientrati dalla Siria.
«Ho presentato le mie dimissioni, come anche il mio collega Geens, ma sono state rifiutate” ha fatto sapere Jambon al quotidiano LeSoir aggiungendo che «ci sono stati due errori che coinvolgono direttamente il ministero della Giustizia e dell’Interno». Una dichiarazione che suona come un mea culpa e che mette in cattiva luce tutto il governo nella gestione delle sicurezza interna.

Secondo quanto riportato dal governo turco, Ibrahim El Bakraoui, noto alla giustizia belga per banditismo, era stato fermato alla frontiera turco-siriana e poi estradato in Belgio, o verso l’Olanda come invece afferma il ministro della Giustizia Geens. Ciò che mette in imbarazzo il governo di Bruxelles è la possibilità che Ibrahim El Bakraoui fosse in realtà noto (o avrebbe dovuto esserlo) per i suoi trascorsi di presunto combattente in Siria e non solo per qualche comune reato, come invece le fonti ufficiali del governo hanno prontamente affermato dopo gli attentati di martedì 22 marzo. È lo stesso Erdogan ad affermare che il 14 luglio 2015 l’ambasciata belga in Turchia era stata formalmente informata dell’estradizione e della pericolosità del soggetto, in qualità di potenziale combattente delle Stato islamico- con cui Erdogan, ha denunciato la stampa indipendente di Ankara non a caso duramente repressa, ha intrattenuto rapporti politici, militari ed economici.

L’altro fratello El Bakraoui, Khalid, kamikaze suicida nel metrò di Maelbeek, sarebbe dovuto tornare in prigione per infrazione alla libertà condizionata, ha fatto sapere il quotidiano di lingua fiamminga De Morgen. Di lui si erano perse le tracce, fino a martedì 22 marzo. Un colpo duro per il governo, ed in particolare dell’area fiamminga (capeggiata dal partito separatista fiammingo della NVA) che aveva fatto della denuncia di lassismo per la gestione della città di Bruxelles (enclave francofona nella regione fiamminga) il proprio cavallo di battaglia. Lo stesso ministro degli interni Jan Jambon (NVA) era stato estremamente critico contro i partiti francofoni che governano la città, ed in particolare nella gestione di Molenbeek nel quale si proponeva di fare «personalmente pulizia».

Solo qualche giorno fa, venerdì 18 marzo, le autorità belghe sembravano aver riacquistato credibilità con l’arresto di Salah Abdeslam, che fra l’altro sembra abbia deciso di non voler più collaborare e di voler essere estradato in Francia (diversamente da quello che aveva inizialmente affermato). Ora il governo belga dovrà fare i conti con lo spettro di una crisi politica che rischia di mettere in difficoltà l’intera area comunitaria europea.

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