Belgio-Siria, andata e ritorno così i jihadisti delle stragi hanno attraversato l’Europa senza essere controllati

Belgio-Siria, andata e ritorno così i jihadisti delle stragi hanno attraversato l’Europa senza essere controllati

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BRUXELLES A volte tornano, e trovano porte aperte, anzi girevoli. Lo hanno fatto sistematicamente, dal gennaio 2013 all’autunno del 2015: con un passaporto falso, talvolta senza doversi neppure nascondere, in alcuni casi fingendosi profughi.

Sono tanti i mezzi e le rotte per rincasare dalla Siria. Le reclute dell’Is hanno saputo sfruttare l’assenza di quel coordinamento tra

intelligence e polizia tra paesi che ancora credono di poter combattere il terrorismo proteggendo la propria sovranità. Ben quattordici membri della cellula di Abdelhamid Abaaoud hanno fatto marcia indietro verso l’Europa tra l’estate e l’autunno scorso.

La scoperta della loro presenza sul continente è stata tardiva se non postuma, visto che la maggior parte di questi “turisti della jihad” è morta da martire negli attacchi di Parigi e Bruxelles. Il leader del gruppo ha dimostrato di muoversi nella più totale impunità, andando e tornando dalla Siria ben cinque volte, usando il Belgio come un Grand Hotel.

Prima degli attentati di Charlie Hebdo, l’allarme in Europa era concentrato sui giovani che venivano arruolati dall’Is, senza reale volontà di fermarli. «Pensavamo che bastasse chiudere un occhio per liberarcene», ricorda una fonte dell’intelligence francese. «Finché abbiamo capito che alcuni tornavano, e non con le migliori intenzioni».

Il Belgio ha aspettato la primavera dell’anno scorso per processare Khalid Zerkani, il più grande reclutatore di foreign fighter del paese, che con Abaaoud ha organizzato la filiera di Molenbeek dal gennaio 2013. Zerkani è stato condannato nel luglio scorso a 15 anni di reclusione. Un altro processo si terrà a maggio per i fratelli Othman e Mohamed Ahksynnai, capi della filiera di Schaerbeek da cui proviene Najim Laarchaoui, l’artificiere del gruppo e secondo kamikaze dell’aeroporto di Bruxelles.

All’inizio dell’anno scorso, Abaaoud scrive su Daqib, il magazine del Califfato: «Il mio nome e la mia foto sono su tutti i giornali e tuttavia ho potuto starmene nella loro terra e pianificare attentati contro di loro». Il giovane dirigente dell’Is ha probabilmente viaggiato in Europa con un falso documento. Secondo Interpol ci sono almeno 250mila passaporti siriani e iracheni contraffatti o trafugati. Nella cellula degli attacchi ci sono anche false carte di identità del Belgio come quelle di Laachraoui e Mohamed Belkaid, basisti del gruppo, diventati Soufiane Kayal e Samir Bouzid. Anche per questo non hanno problemi quando vengono fermati il 9 settembre alla frontiera tra Germania e Ungheria, in macchina con Salah Abdeslam.

Eludono il controllo nonostante Laachraoui sia oggetto di un mandato di arresto internazionale fin dal marzo 2014. Così come Abaaoud, che ha fatto la ”spola” tra Raqqa e Bruxelles, nonostante fosse ricercato dall’agosto 2014.

Anche Samy Amimour o Chakib Akrouh erano oggetto di un mandato di cattura senza che questo gli abbia impedito di partecipare ai commando del 13 novembre.

Se esistesse una banca dati comune dei passeggeri negli aeroporti, il famoso Pnr ( Passenger name record) l’utilizzo di false identità potrebbe quantomeno allertare le autorità su alcune rotte sospette. Del Pnr si parla da tempo, fu una delle battaglie dell’Italia durante il semestre europeo del 2014, ma neppure dopo gli attentati degli ultimi mesi, l’Europa è riuscita ad approvarlo. L’altra soluzione sarebbe l’uso di documenti biometrici in tutta l’Ue, ma anche questo è un traguardo lontano.

In alcuni casi non c’è neppure bisogno di nascondersi. Uno dei futuri kamikaze del 22 marzo, Ibrahim El Bakraoui, è infatti stato espulso dalla Turchia verso l’Olanda per ben due volte, il 14 luglio e il 21 agosto, senza essere fermato da nessun poliziotto. Ha potuto circolare nel continente con la sua vera identità, ovvero quella di un condannato in libertà vigilata scappato dal suo paese e che le autorità turche hanno segnalato inutilmente a Belgio e Olanda come «recluta dell’Is». Bakraoui ha chiesto di essere espulso nello scalo di Schipol perché tra i jihadisti si sa che le maglie dei controlli nel paese sono piuttosto larghe, quasi una beffa per Europol che ha sede all’Aia.

L’ultimo varco aperto per i turisti della jihad è la frontiera della Grecia, dove fino a qualche tempo fa bastava dichiararsi profugo per ottenere un lasciapassare utile ad attraversare lo spazio Schengen.

L’uomo arrestato con Abdeslam a Molenbeek ha lasciato le sue impronte a Leros il 20 settembre e un’identità belga falsa, Amine Choukri. Qualche giorno dopo, il 3 ottobre, due dei kamikaze dello Stade de France sono sbarcati nell’isola greca con falsi passaporti siriani. Ora i servizi segreti setacciano foto, impronte degli altri profughi sbarcati in Grecia tra settembre e ottobre. «Sono tornato con una novantina di uomini», si era vantato Abaaoud prima di essere ucciso.

Ora si è capito che per molti di loro la partenza dall’Europa era stata solo un arrivederci.

 



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