Bruxelles ferita al cuore

Bruxelles ferita al cuore

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BRUXELLES La Cabala del Terrore imbratta una nuova data, 22 marzo. Fa strage al mattino e mette in ginocchio una città e un paese. Lo amputa materialmente e simbolicamente nelle sue infrastrutture. L’aeroporto internazionale di Zaventem. La linea 1 del metro che raggiunge il quadrilatero dei palazzi delle istituzioni europee. Lo ricaccia in un medioevo in cui crolla la rete telefonica mobile, chiudono i cieli e i collegamenti su ferro, ci si sposta a piedi, se proprio necessario, ci si appella perché i donatori riempiano sacche di plasma di cui gli ospedali hanno assoluta urgenza. E in cui, a notte, la conta dei cadaveri e dei feriti, dei mutilati e degli ustionati, è ancora un numero scritto a matita. Trentuno morti (11 all’aeroporto e 20 alla fermata del metrò di Maelbeek) e duecentoventisei feriti, le cui tante nazionalità nessuna autorità cittadina, dopo dodici ore, è ancora in grado di abbozzare. Non fosse altro perché sono almeno sedici gli ospedali in cui sono stati ricoverati. La firma è dell’Is, che rivendica. «Abbiamo condotto una serie di attentati con cinture esplosive nel centro della capitale del Belgio, che partecipa alla coalizione internazionale contro l’Is. Agli stati crociati alleati promettiamo giorni bui». Il format — l’attacco multiplo — e lo strumento sono gli stessi del 13 novembre a Parigi, i martiri. Questa volta due, forse tre, con un quarto in fuga.

08.00 ZAVENTEM

Tutto ha inizio nel terminal delle partenze dell’aeroporto internazionale di Zaventem, nell’area check-in 1. E quello che accade nello spazio di pochi minuti è nelle immagini del circuito di videosorveglianza. Tre uomini spingono altrettanti carrelli dei bagagli. Due sono intabarrati in quelli che sembrano giacconi scuri. Il terzo veste una giacca chiara e ha il volto coperto da un cappello nero con la visiera. I due uomini hanno una caratteristica: indossano entrambi alla mano sinistra, e solo su quella, un guanto nero che, verosimilmente, nasconde quello che li rende due kamikaze. Dei detonatori. Quel che accade dopo lo racconta Alphonse Youla, 40 anni, addetto alla secure bag: «Ho sentito un uomo gridare in lingua araba. Poi degli spari. Quindi l’esplosione». Le deflagrazioni in realtà sono due, e una terza bomba verrà ritrovata inesplosa. L’onda d’urto è moltiplicata nella dall’effetto assicurato dalle grandi vetrate della hall. Migliaia di schegge vengono sparate nell’aria come lame. Yassine Amrani, 39 anni, è un senza casa che normalmente dorme nel parcheggio dell’aeroporto. Ha una felpa grigia con la scritta “Chicago” imbrattata di sangue. Poco prima delle otto, come ogni mattina, era diretto ai bagni delle partenze per lavarsi: «Ho sentito un’esplosione tremenda. Ho visto una donna piangere disperata in cerca del suo bambino ». Mohamed Kallouchi, non lontano, è al bancone del caffè: «Di fronte a me è stato scaraventato un uomo dal torace completamente aperto e senza più le gambe». I racconti dei superstiti sommano raccapriccio a raccapriccio. Qualcuno sostiene piangendo di aver visto cadaveri privi di testa. Ma danno un’idea in che cosa sia stata trasformata la hall dell’aeroporto dall’esplosione che ne ha squarciato una parte consistente, facendo crollare e piegando la struttura di acciaio e polverizzando i controsoffitti.

Alle 9 l’area cargo dell’aeroporto è un gigantesco campo profughi, migliaia di passeggeri lasciano a piedi il terminal. Qualcuno prende, trascinando dietro di sé il trolley, la strada del villaggio di Zaventem. Altri, quella delle piste, accanto ad aerei che non decolleranno più. Il Centro nazionale di crisi eleva l’allerta al livello 4, il massimo nella scala della paura. Comincia nel paese “l’operazione catastrofe” come in gergo gli apparati della sicurezza e della protezione civile definiscono lo scenario “finale” cui si sono preparati. Ma ormai è tardi.

9.11 MAELBEEK

Sono le 9.11 nel cuore del quartiere delle istituzioni europee. La linea 1 della metropolitana, che parte da Molenbeek e taglia da est a ovest la capitale, è una delle più frequentate. Un treno arrivato dalla stazione Schuman, sotto al palazzo Berlaymont, sede della Commissione, si ferma a Maelbeek. Qualche secondo di sosta e chiude le porte per proseguire verso Arts-Loi. «Non c’era quasi più posto nel vagone, ero in piedi», ricorda Caroline, 34 anni, che stava andando al suo studio di architettura. Il macchinista chiude le porte, incomincia a muovere il convoglio senza immaginare che qualcuno o qualcosa è di troppo dentro al secondo vagone. Un lampo di luce e poi il buio. La rivendicazione dell’Is parla di “martydom bomber” ma le autorità non confermano se si tratti di un kamikaze o di un pacco bomba. «Ho sentito un botto e sono finita a terra, nell’oscurità», continua Caroline. La deflagrazione è talmente potente che sventra i muri di un parcheggio vicino. È buio, si sentono solo urla e pianti, soprattutto di bambini. Almeno quindici persone rimangono intrappolate nella carcassa fumante del vagone. Una madre cerca suo figlio. «Par ici», da questa parte, grida un uomo indicando la via d’uscita ai superstiti. Un altro treno sta entrando nella stazione di Maelbeek dalla direzione opposta. Il macchinista vede l’esplosione e riesce a frenare, salvando molte vite. I passeggeri escono dai finestrini rotti, camminano nel tunnel avvolto nel fumo arrivando fino a Schuman.

«Sono usciti come zombie», racconta Gabriele Pelino, funzionario della direzione dogane della Commissione europea che si affaccia su rue de la Loi, a dieci metri dall’ingresso del metrò. «Abbiamo accolto i primi feriti senza sapere bene cosa fare — aggiunge Pelino — ci siamo messi a piangere». Molte persone vengono soccorse sull’asfalto mentre i pompieri entrano nella stazione per estrarre i corpi dalle lamiere. Le autorità requisiscono il pianterreno del commissariato all’Agricoltura per mettere al riparo alcuni superstiti. Dal lato opposto, in rue Jacques de Lalaing, ci sono altre tracce di sangue, vetri rotti, silenzio. Davanti, sul palazzo della direzione europea per le risorse umane e la sicurezza, appare lo slogan di una campagna pubblicitaria: “What will you learn today?”, cosa imparerete oggi?



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