MAREK HALTER. Il dilemma della convivenza

MAREK HALTER. Il dilemma della convivenza

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Ma è ancora possibile convivere con i musulmani nelle nostre città? È possibile tollerare l’omertà che ha consentito a Salah Abdeslam, l’organizzatore dell’attacco al Bataclan acclamato sui social network da decine di migliaia di giovani delle banlieue, di rimanere nascosto quattro mesi in un quartiere nel centro di Bruxelles? Purtroppo, sì: è possibile, anzi necessario, perché in Francia i  sono sette milioni, mentre sono quasi 300mila soltanto nella capitale belga, ossia un quarto della sua popolazione. Quindi, o ci pieghiamo alla brutale quanto controproducente politica che propongono tutti i partiti dell’estrema destra europea, e che consiste anzitutto nell’esclusione, o peggio nella deportazione, oppure siamo costretti a trovare una soluzione.

E la soluzione per una serena convivenza non può prescindere da una maggiore integrazione dei musulmani, anche perché gli uomini degli attacchi di Parigi così come quei numerosissimi giovani che dalle nostre capitali partono a combattere in Siria sono quasi tutti degli esclusi. Ma la convivenza non può neanche prescindere dalla conoscenza del mondo islamico sul nostro territorio, con il lavoro dei servizi segreti per individuare gli elementi più pericolosi, e con quello degli operatori sociali per evitare gli altri lo diventino. Già, perché come diceva Hannah Arendt, è più importante conoscere i propri nemici che se stessi.

Poco dopo l’attacco a Bruxelles mi ha chiamato il premier francese, Manuel Valls, che mi ha detto: «Siamo in guerra». Ma io non credo che si possa parlare di guerra, perché questa presuppone due eserciti contrapposti. Ora, in Europa lo Stato islamico è in grado di combattere solo con qualche cellula di criminali invasati.

Non vorrei neanche definirli terroristi, perché durante la Resistenza francese, i nazisti chiamavano così i partigiani. Questi kamikaze mi fanno piuttosto pensare ai membri della setta medievale degli Assassini, che si drogavano di hashish per uccidere, e di cui parla anche Rimbaud in un suo splendido poema.

Mi dicono che anche i nostri eroi non avevano paura di morire, e che come gli islamisti anche i “poilus” della Grande guerra affrontavano il piombo nemico a cuor leggero pur di salvare la loro patria. Ma c’è una grande differenza filosofica tra chi accetta la morte per difendere la propria terra e la propria famiglia, e chi invece s’immola per Allah. I primi erano attaccati ai loro beni e ai loro affetti; gli altri lo sono a un concetto soprannaturale.

Per vincere questa guerra asimmetrica e per sconfiggere queste piccole ma cruentissime falangi di assassini esiste un solo modo: dobbiamo coinvolgere i musulmani non violenti, che sono la grande maggioranza, sia pure troppo silenziosa. Infatti, in queste ore non ho sentito né gli sceicchi sauditi né i presidenti o i re arabi condannare fermamente e sui media internazionali quanto è accaduto a Bruxelles, come del resto non li sentii quando ci furono gli attacchi di Parigi. È vero, non fa parte della loro cultura manifestare il loro sentimento su argomenti del genere. Ma devono farlo, perché sono a rischio anche loro della medesima strategia della tensione dello Stato islamico.

Credo infatti che con le loro bombe i jihadisti perseguano due obiettivi. Il primo è di alzare il livello dell’islamofobia in Occidente, con le conseguenze che abbiamo tutti sotto gli occhi: l’ascesa dei partiti dell’estrema destra e la colpevolizzazione dei migranti. Il secondo obiettivo è di indebolire il Vecchio Continente perché è lì dove è nata e dove ancora regna la democrazia. E non c’è nulla che gli assassini dello Stato islamico odino più della democrazia.

Sono stato intervistato poco fa da una tv russa. La prima cosa che mi ha chiesto il giornalista è stata perché dopo l’arresto di Salah Abdeslam la polizia non ha perquisito tutto il quartiere dove si era nascosto. Gli ho risposto che avrebbe potuto fare di peggio e comportarsi come fece Stalin contro gli indipendentisti islamici in Cecenia, quando deportò l’intera popolazione cecena nei gulag. Da noi per perquisire una casa serve un mandato. È la garanzia che ci offrono le nostre leggi e la nostra Costituzione. Che sono profondamente democratiche.

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L’autore è uno scrittore francese di origine ebreo polacca, tra i suoi libri Il cabalista di Praga ( Newton Compton) Perché sono ebreo ( Sperling & Kupfer) e Riconciliatevi! ( Marsilio)



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