È pronto, tutti a tavola il cibo è diritto alla felicità

È pronto, tutti a tavola il cibo è diritto alla felicità

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Il progressivo diffondersi e radicarsi del diritto al cibo, con la sua origine nella consapevolezza del suo essere bene comune, fondamentale bene della vita, deve davvero molto all’opera di Carlo Petrini, per la sua capacità di congiungere azione concreta e riflessione culturale. Quando ci si inoltra nel terreno dei diritti, bisogna individuare i soggetti che ne sono titolari e, insieme, costruire le istituzioni che ne rendono possibile l’attuazione. Una istituzione è stata inventata, trent’anni fa, ed è stata nominata Slow Food. Formula non solo fortunata, ma che, nel suo planetario diffondersi, ha mostrato con immediatezza che ci troviamo in una dimensione irriducibile a quella storica degli Stati nazionali. Il riferimento oggettivo di questa istituzione si trova infatti in un dato propriamente globale — la Terra Madre, la Pacha Mama della lingua quechua, insieme oggetto da salvaguardare e soggetto portatore di propri diritti, com’è esplicitamente scritto nelle costituzioni di paesi come l’Ecuador e la Bolivia.

Ma questo gioco incrociato tra soggettività e oggettività non corre il rischio dell’astrazione, come mostra, ad esempio, il comparire della “via campesina”, in cui si congiungono un soggetto collettivo, milioni di contadini, e una modalità associata dell’agire sociale, economico, politico.

Riproponendo, arricchito, il suo libro più importante, Petrini individua con precisione il contesto all’interno del quale deve svolgersi il discorso sul cibo, che dev’essere Buono, pulito e giusto (Giunti- Slow Food, pagg. 347, euro 14,50). Ma, se questa è la dimensione oggettiva del discorso, i titoli di altri suoi libri ne individuano anche quella soggettiva, con parole forti, che rinviano al linguaggio storico del costituzionalismo: libertà e felicità. Qui compaiono le persone, con i loro diritti e i loro bisogni, quelli materiali certamente, proiettati però verso la pienezza della vita. Ci avvediamo così che la riflessione, se deve partire dalla constatazione, tutt’altro che scomparsa, della drammatica associazione tra cibo, fame e sopravvivenza, non può fermarsi qui. Anzi, proprio se si vogliono creare le condizioni propizie all’uscita dalla fame senza essere obbligati ad approdare alla totale privatizzazione del mondo, si deve guardare al cibo e alla sua produzione avendo presente l’opposizione sempre più aggressiva tra produzione industriale e distruzione stessa dell’agricoltura, come accade quando l’impianto puramente produttivistico cancella tutto il sapere storico che intorno ad essa si è accumulato. Un vero cambio d’epoca, che non si coglie soltanto nella dimensione, pur essenziale, della tutela dell’ambiente.

A questo punto l’interrogativo diventa radicale: può la gastronomia essere una scienza? Deve esserlo, risponde Petrini, perché scientifico dev’essere il modo in cui devono essere analizzati i molteplici problemi che si intrecciano intorno al cibo. Viene così mobilitato l’insieme delle conoscenze — chimica, fisica, agricoltura, geopolitica, medicina… Ma l’esito non è una scienza opprimente, “triste”. È, all’opposto, una scienza “felice”, fondamento del buon vivere, via maestra perché salute individuale e ambiente globale possano trovare effettiva e umana garanzia.

Così intesa, liberata dall’elitismo e dall’esibizionismo sterile, la gastronomia diviene condizione per la libertà di scelta d’ogni persona nel momento in cui si pone il tema dell’accesso ai beni della vita. Ma è pure quella dei produttori di veder rispettate la loro tradizione e la loro cultura, di non essere assoggettati alle logiche espropriative dei diritti di brevetto, contribuendo così a quello sviluppo sostenibile che costituisce ormai una premessa necessaria per una effettiva tutela dell’ambiente. E libertà dei popoli a non essere soggetti al land grabbing, all’acquisto o all’affitto a lunghissimo termine di terreni da parte di fondi di investimento o di società multinazionali per la coltivazione di prodotti agricoli che vengono poi esportati in Stati stranieri o destinati al mercato internazionale. In questo modo grandi estensioni di terra vengono sottratte alle popolazioni locali, “chiuse” al loro accesso, con nuove storture che rendono più difficile uscire da contraddizioni radicali, come quelle riguardanti il consumo opulento e lo spreco. Questi sono gli itinerari lungo i quali ci conduce, con mente esperta e ricchezza di esempi, Carlo Petrini. E solo ragionando così è possibile rendersi conto della giusta insistenza dell’Onu sulla necessità di non separare il diritto al cibo dagli altri diritti fondamentali, di guardare all’indivisibilità dei diritti. E la perentorietà di questa impostazione viene rafforzata dal rifiuto di ogni riduzionismo, a cominciare da quello che tende ad identificare il diritto al cibo solo con la disponibilità di un “minimum package” di calorie, proteine e altri elementi nutritivi, al quale corrisponde una riduzione al minimo anche delle obbligazioni degli Stati.

Collocato tra i diritti fondamentali della persona, costituzionalizzato, esso ci parla di un cibo che non deve essere soltanto sano, adeguato accessibile, ma pure “compatibile con la cultura” di ciascuno. Compare così l’eguaglianza, e diviene evidente che il modo in cui viene riconosciuto il diritto al cibo appartiene al processo democratico. Non è un caso, né un arbitrio, che oggi si parli sempre più largamente non solo di “food security” e di “food sovereignity”, ma di “food democracy”.

Nel suo richiamarsi a tradizioni e cultura Carlo Petrini non fa mai una operazione nostalgica, perché ricostruisce la memoria collettiva attraverso un puntuale confronto con una storia presente irriducibile all’impetuosa pretesa di ridurre tutto alla logica del mercato. È un libro sul futuro, non sul passato.

 

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IL LIBRO

Buono, pulito e giusto di Carlo Petrini torna in libreria dieci anni dopo la prima edizione ( Giunti- Slow Food, pagg. 347, euro 14,50). Sabato 5 marzo alle 11, il libro viene presentato all’Auditorium dellAra Pacis a Roma. Dialogano con l’autore Cristina Bowerman, Tullio Gregory e Stefano Rodotà. Interviene Nicola Zingaretti e modera Marcello Masi.

 



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