La Camera che ha approvato le quote per i disabili in 16 anni non ha assunto nessuno

by Gian Antonio Stella, Corriere della Sera | 31 Marzo 2016 10:21

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«Un grammo di buon esempio vale più di un quintale di parole». Il monito attribuito a San Francesco di Sales non ha avuto fortuna tra i palazzi della politica. Almeno sui diritti dei disabili, ricevuti ieri al Colle da Mattarella. Il primo a violar l’obbligo d’assumere una quota di portatori di handicap fissato dalla legge 68/1999, infatti, è stato il Parlamento che quella legge varò.

Lo ha dimostrato Umberto Alezio, delle Iene . In un servizio in onda questa sera su Italia1. «Lei dice che è una legge giusta, tra le migliori mai fatte, ma sa che la prima a non applicarla è la Camera?», chiede l’autore a vari deputati. «Non è applicata?», risponde sbalordita Laura Ravetto, «È gravissimo: perché gli enti pubblici credo siano i primi che dovrebbero dare l’esempio. Prometto che la prima che cosa che faccio, adesso, appena entro in aula, è di far presente questa cosa gravissima». «Nooo! Davvero? Non lo sapevo», sbarra gli occhi Pippo Civati, «Adesso facciamo un macello. È una follia». «Lei mi dà una notizia», ammette Stefano Fassina, «se è così è inaccettabile e dobbiamo porvi rimedio». «La Camera dovrebbe essere la prima a dare l’esempio!», dice Daniela Santanchè. «Non lo sapevo», confessa Andrea Romano, «Effettivamente non ho mai visto dipendenti affetti da disabilità…».

«Chiedete alla Boldrini», svicola frettolosa Nunzia di Girolamo. E la presidente della Camera, presa alla sprovvista dal microfono sotto il naso, che fa? Decisa a difendere l’istituzione scivola su una buccia di banana: «Da quando questa legge è in atto non ci sono state più nuove assunzioni, se faremo nuove assunzioni questa legge verrà rispettata, stia tranquillo».

Non è così, purtroppo. E lo riconoscerà lei stessa in un successivo passaggio del servizio: «Non lo sapevo, non succederà più».. Per carità, stando alle carte recuperate da Alezio e dal deputato grillino Riccardo Fraccaro le nuove assunzioni sono state fatte prima che lei diventasse presidente. Ma ci sono state. Almeno 5 tornate di concorsi tra il 2002 e il 2006 quando a Montecitorio c’erano prima Pier Ferdinando Casini e poi Fausto Bertinotti. Per un totale, stando ai documenti, di un centinaio di new entry. «Senza che mai sia stato preso un solo disabile», conferma il parlamentare del M5S.

Nessuno stupore. Se non per l’ostentata meraviglia degli intervistati, colpiti dalla notizia manco fossero informati della scoperta di una tigre vegana. «Sono stato lì dentro per anni come deputato, come ministro e come sottosegretario: mai visto un dipendente con handicap», sospira Antonio Guidi, affetto da tetraparesi spastica, «E diciamo la verità: partiti, sindacati e uffici pubblici sono i primi che non hanno mai applicato quella legge. Troppe deroghe! Troppe deroghe! E così alla fine le norme sacrosante sono state svuotate».

Certo, la legge che prevede la presenza di un 7% di lavoratori diversamente abili nelle aziende con più di 50 dipendenti, due in quelle che ne hanno da 36 a 50 e uno in quelle più ridotte che occupano da 15 a 35 addetti con la sola esenzione delle imprese più piccole, qualche deroga la doveva prevedere. Se assumi cento piloti da aereo non fuori farti carico di sette portatori di handicap cui affidare i comandi. Ovvio. E non c’è disabile che contesti il buon senso. Ma vale solo per certi mestieri specifici. Grazie anche alle nuove tecnologie, come dimostrava l’altro giorno alla trasmissione di Gianluca Nicoletti su Radio 24 un giovane non vedente brillantemente laureato, «un cieco non solo può non essere di peso ma può essere una risorsa per tantissimi uffici». Macché: c’è chi non vuol neppure tentare. Meglio la multa, e via.

Pietro Barbieri, a lungo presidente della Fish, la federazione delle associazioni per il superamento dell’handicap, ricorda di aver dato più volte battaglia, anno dopo anno, perché la «68/1999» fosse applicata più seriamente soprattutto dagli enti pubblici. Niente da fare. La legge diceva che le Province dovevano fare un monitoraggio biennale sull’applicazione delle nuove regole nei vari uffici del loro territorio? Un buon terzo di queste Province se ne sono infischiate. Evitando di raccogliere, riassumere e trasmettere i dati a Roma. Così anche nell’ultimo rapporto, del 2013. Dove perfino gli uffici ligi al dovere avevano comunicato vistosi vuoti nelle quote riservate ai disabili. «Con una aggravante», incalza Barbieri, «Se un’azienda privata che viola la legge paga almeno le multe, per quanto ridotte siano, gli enti pubblici manco quelle».

«Appena ci siamo accorti del problema abbiamo avviato un censimento per capirne bene le dimensioni», spiega Angelo Rughetti, sottosegretario alla Funzione pubblica, «I numeri purtroppo non li abbiamo ancora ma nel decreto “Semplificazioni in materia di lavoro e pari opportunità” abbiamo inserito apposta, come chiedevano le associazioni, l’obbligo per tutti, privati e pubblici, di avere un responsabile che si occupi lui, direttamente, di controllare l’applicazione reale delle norme sull’inserimento dei disabili».

Una figura precisa. Che non possa rifugiarsi dietro cortine fumogene burocratiche. Anche se alla Fish temono che alla fine questa figura venga svuotata in Parlamento con l’introduzione di un generico «osservatorio». Osservatorio destinato a fare la fine di certi organismi descritti da celebre battuta di Richard Harkness sul New York Times : «Dicesi Commissione un gruppo di svogliati selezionati da un gruppo di incapaci per il disbrigo di qualcosa di inutile».

Gian Antonio Stella

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