L’Onu e la droga, il sistema tutela se stesso
«Non è questione di sistema per il problema mondiale della droga, solo di risorse»: ecco la conclusione della Commissione delle Droghe Narcotiche (Cnd), in vista di Ungass.
Ma che cos’è di preciso «il problema mondiale della droga»?
Significa che i prezzi sono troppo alti, che la qualità è bassa e la distribuzione è lenta? Oppure che perseguire l’astinenza con la forza ha causato spargimento di sangue e repressione? E’ un riconoscimento dell’errore di base, stante che nelle società capitalistiche spingere nella clandestinità beni di consumo si traduce in economie parallele e in incubazione di criminalità organizzata? Oppure che l’utilizzo del sistema penale per fini di salute pubblica conduce a incarcerazioni di massa? I tassi di omicidio sospinti dal narcotraffico in Messico, Guatemala o Giamaica sono parte del problema? O lo è l’intreccio di guerra e droga in Afghanistan e in Colombia? E che dire del problema della corruzione globale?
La riunione della Cnd della scorsa settimana a Vienna ha avuto il compito di preparare la Sessione Speciale sulle droghe dell’Assemblea Generale Onu di aprile.
Lì i politici hanno la possibilità di verificare che, nonostante i loro sforzi, i consumi globali sono in ascesa, le produzioni di coca e di cannabis sono più alte che mai, e che laboratori chimici clandestini immettono tutti gli anni sul mercato nuove sostanze psicoattive.
Tanto è complesso il problema che bisogna trovare una soluzione globale: da qui l’urgenza di un documento unanime. Ma portare tutti a tagliare il traguardo significa riconfermare principi come «un mondo libero dall’abuso di droga», proprio quando la legalizzazione della marijuana sta diventando una realtà in alcuni stati membri delle Nazioni Unite.
I leader di Messico, Brasile, Nigeria e Grecia hanno invocato la normalizzazione delle «droghe» oggi proibite, proprio per prevenire la violenza. L’Uruguay è stato il primo stato a legalizzare la cannabis, proprio per combattere il narcotraffico. Ma il prezzo dell’unanimità è di regredire alla mediana, al «risoluto impegno alla riduzione della domanda, alla riduzione dell’offerta e alla cooperazione internazionale». Questi solenni proclami sono necessari, apparentemente, per tenere a bordo i paesi conservatori, come l’Arabia Saudita, Singapore e il Kazakhstan.
Può il prezzo dell’unanimità consistere nel supporto alle tattiche brutalmente repressive di regimi autoritari?
L’Onu è l’assise per le buone pratiche a sostegno del benessere e dei diritti umani: rimpiazzate – constatiamo- da più pragmatiche preoccupazioni di mantenimento del sistema di controllo antidroga. Perciò, la risoluzione «riafferma» e «sottolinea» gli impegni delle tre Convenzioni sulle droghe, sì che ogni «guerriero della droga» possa avvolgersi nella bandiera dell’Onu.
Non solo vanno avanti come al solito, guardano anche al proprio business. Per prima cosa, i rappresentanti concordano nel «conferire adeguate risorse» alla riduzione dell’offerta e della domanda e «per assistere i paesi in via di sviluppo».
Poi si identificano i beneficiari di queste elargizioni, iniziando dall’ospite: si «riafferma» il ruolo principale della Cnd, e i ruoli «prescritti dai trattati» dell’Ufficio per la Droga e il Crimine (Unodc) come l’entità guida del sistema Onu, così come i ruoli, prescritti dai trattati, del «International Narcotic Control Board» (Incb) e della Oms. Dopo aver assicurato gli interessi del sistema stesso, il documento raccomanda di indirizzare risorse per i trattamenti sanitari e per la repressione penale.
Invece di confrontarsi con l’evidenza, la riunione Cnd ha riconfermato precedenti asserzioni non verificate, a sostegno di principi «sacri» e di interessi professionali. Se Ungass andrà allo stesso modo, un decennio di riforma della politica della droga sarà sprecato.
* L’autore è il direttore della rivista «Drugs and Alcohol Today». Il documento della Cnd è su www.fuoriluogo.it
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