Spie, mail e videotape ecco il Grande fratello che controlla il M5S

Spie, mail e videotape ecco il Grande fratello che controlla il M5S

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Non c’è solo il presunto spionaggio di mail. L’ossessione del controllo governa il Movimento 5 Stelle fin dal suo ingresso in Parlamento. Registrazioni di conversazioni private usate per smascherare i traditori, chat interne setacciate dai capi della Comunicazione, guerra di dossier, social ispezionati a caccia di like sconvenienti. Sospetti e segreti convergono tutti a un unico indirizzo: via Girolamo Morone 6. Milano. Sede della Casaleggio Associati.

LE ASSEMBLEE “SORVEGLIATE”

In principio fu lo streaming, per trasmettere le primissime assemblee. Durò poco. «Ma c’erano sempre due operatori della Comunicazione con una telecamera – ricorda Walter Rizzetto – una volta stavo per mettere loro le mani addosso. Usarono anche la scusa di un documentario della tv danese, ma era chiaro che cercavano dissidenti». Lo conferma un insospettabile, l’ortodosso Andrea Colletti: «Non c’è niente di male: chi ha paura di quel che dice ha qualcosa da nascondere». Una volta a Ivan Della Valle è accaduto di essere “captato” durante un’incandescente riunione in Piemonte: «Gridavano “c’è il deputato, registriamo registriamo!”. È nel nostro dna».

LE PURGHE PUBBLICHE

Quando si contraddice la linea imposta da Milano, le scuse non bastano. «In tredici votammo per Grasso presidente del Senato – ricorda Alessandra Bencini, altra ex – e convocarono una riunione. Pretendevano l’autodenuncia. Era l’Inquisizione».

LE CHAT “ATTENZIONATE”

Nessuna opinione è al sicuro, nel Movimento. Neanche se sei un parlamentare e scrivi nelle chat interne. Delazioni e trascrizioni non autorizzate, accade fin dagli albori: «Quando i consiglieri cinquestelle di Bologna si facevano la guerra – ricorda Lorenzo Battista, ormai fuori dal M5S qualcuno mandò la conversazione privata a Casaleggio. La pubblicò sul blog, nascondendo i nomi. Magari Gianroberto non legge le mail, ma c’è sempre qualcuno che gliele riporta». I più accorti tentarono di sottrarsi al controllo: «La Comunicazione era inserita nelle chat dei senatori. Per aggirarli, nacque su Telegram un gruppo parallelo…».

GLI AUDIO CORSARI

Le registrazioni in assemblea non esauriscono le battaglie a colpi di nastri. Un controllo ossessivo che diventa paranoia, se è vero il racconto di Rizzetto: «Un giorno Villarosa, allora capogruppo, si accorse di essere registrato. Ci fu una lite violenta. La questione finì sul tavolo di Casaleggio ». Microfono acceso anche dentro l’Aula di Montecitorio: accadde a Mara Mucci, “intercettata” con un deputato montiano. L’audio finì dritto sul blog.

LE SPIE DI FACEBOOK

Delusa dalla retromarcia dei vertici sulle unioni civili, a metà febbraio una deputata scrive su Facebook un post riservato: «Sto pensando di passare al gruppo misto». Poi aggiunge: «Quando lo farò non lo scriverò qui. Per quanto privato sia il profilo, c’è sempre qualche scorretto idiota. Anche M5S». A chi si riferisce? A chi monitora i post dei parlamentari sui social e i singoli “mi piace” degli attivisti. Un’opera di ricognizione riportata ai vertici.

LA GUERRA DEI DOSSIER

Non c’è differenza tra ortodossi e dissidenti quando si tratta di raccogliere informazioni contro un rivale. Guerre tra bande a colpi di dossier in Campania, Calabria e Puglia. Il senatore espulso Francesco Campanella ne sa qualcosa: «A un incontro notturno nel meet up di Palermo criticai Casaleggio. All’alba lo sapevano a Roma. Ci aveva pensato il collega Nuti, presente alla riunione, con un report inviato a Milano».

LA STRUTTURA DI CONTROLLO

La comunicazione ha in mano i gruppi parlamentari e risponde solo alla Casaleggio Associati. Da regolamento è la società che ne sceglie i componenti, o li sostituisce, anche se gli stipendi sono a carico del Parlamento. Rocco Casalino, Ilaria Loquenzi (sfiduciata dai deputati, fu confermata con un plebiscito dopo che il guru li costrinse a rivotare) e Silvia Virgulti decidono tutto: interviste, presenze tv, fino alla linea politica. «Per l’impeachment a Napolitano – ricorda Campanella – arrivò il capogruppo D’Incà col testo già scritto. Non dall’ufficio legislativo, ma da uno studio legale. Chiedemmo quale alla comunicazione. Risposero: non si può dire, c’è la privacy».



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