#Stop Vqr: settimana rovente per la clamorosa protesta nell’università

#Stop Vqr: settimana rovente per la clamorosa protesta nell’università

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Settimana decisiva per la clamorosa protesta dei docenti e dei ricercatori. Entro lunedì 14 marzo 50 mila persone dovranno caricare 100 mila pubblicazioni nel software della «Valutazione della qualità della ricerca» (VqR 2011-2014), una procedura fondamentale nell’università post-gelminiana per determinare la quota del fondo premiale destinato agli atenei e per finanziare quanto resta della ricerca in Italia dopo i sanguinosi tagli da 1,1 miliardi imposti da Tremonti nel 2008 e mai rifinanziati.

Il movimento si è esteso in questi mesi grazie al tam-tam sul web. Uno dei suoi ispiratori, il docente torinese Carlo Ferraro ha calcolato che al 4 marzo lo sciopero contro la VqR ha coinvolto 3320 docenti. Si tratta di una stima prudenziale da moltiplicare per 1,5 o per 2, dato che non tutti gli atenei né il ministero dell’università hanno comunicato dati aggiornati e globali. L’astensione è stata preceduta da una fitta pioggia di delibere di dipartimento, di Senati accademici, mozioni e lettere ai rettori: 174 secondo Ferraro. Al momento il boicottaggio coinvolgerebbe tra il 5 e il 20% dei docenti e in alcuni atenei ha raccolto una protesta articolata sugli aspetti decisivi della meritocrazia imposta dalla riforma universitaria, fino a raggiungere il 30%.

La spinta decisiva per la mobilitazione è stata data dalla richiesta di sbloccare gli scatti di anzianità dal 2015, e non dal 2016 come ha fatto l’ultima legge di stabilità, oltre il riconoscimento dell’anzianità maturata nel quadriennio 2011-2014. «I danni potrebbero essere rilevantissimi a livello individuale» ha scritto il presidente del Coordinamento intersedi professori universitari di ruolo (Cipur) Alberto Incoronato: fino a 27 mila euro per i ricercatori, 38 mila per gli associati, 54 mila per gli ordinari.

Il risparmio per lo Stato ammonta a una cifra di tutto rispetto: oltre un miliardo e 600 milioni, più di 300 milioni di euro della quota premiale assegnata nel 2015 agli atenei (1 miliardo e 300 milioni). Il 65% di questa cifra – 900 milioni – viene assegnato in base ai risultati della VqR. L’astensione dalla valutazione è un «mezzo di pressione» per ottenere le risorse perdute, cosa parzialmente avvenuta per il resto del pubblico impiego. Se il governo non cederà lo sciopero distorcerà l’attendibilità dei dati raccolti minando la «qualità» della ricerca che il ministero intende misurare.

La protesta preoccupa, non poco, i rettori della Crui. Basta leggere la lettera sottoscritta da 200 docenti dell’università di Pisa e inviata al consiglio di amministrazione dell’ateneo. In una mozione del 2 marzo il Cda si è detto preoccupato «per il danno che deriverebbe all’ateneo» e ha invitato i direttori di dipartimento a procedere al caricamento di quelli che la neolingua accademica definisce «prodotti» della ricerca. «Una scelta che rischia di inasprire la conflittualità interna» sostengono i docenti che invitano a rinviare la scadenza del 14 marzo al 30 aprile e a sostenere la protesta «a difesa della dignità della docenza». «Questa non è una lotta corporativa» hanno aggiunto 65 docenti leccesi in risposta ad analoghe pressioni. I docenti chiedono ai rettori della Crui di rinviare la scadenza della VqR al 31 aprile.

Il senso della mobilitazione supera tuttavia le legittime richieste economiche dei docenti e si è saldato con la campagna #salviamolaricerca promossa tra gli altri dal celebre fisico romano Giorgio Parisi e potrebbe anche incrociare la mobilitazione dei ricercatori precari che chiedono il riconoscimento del sussidio di disoccupazione «Dis-Coll» «perché -dicono – la ricerca è un lavoro». L’università è in ebollizione al punto che persino i rettori della Crui hanno organizzato una giornata di mobilitazione, prevista il 21 marzo, per chiedere il rifinanziamento degli atenei.

La petizione «Stop VqR» promossa, tra gli altri, dal docente romano Stefano Semplici è significativa perché allarga la piattaforma del movimento a questioni decisive per il destino dell’università: il diritto allo studio, l’uguaglianza contro il merito, il taglio delle risorse oscurato dai peana dell’«eccellenza». Temi che potrebbero alimentare una mobilitazione contro l’«Audit society» o lo «Stato valutatore» istituito dalla «riforma» Gelmini e centrato sul sistema dell’agenzia di valutazione Anvur.

Questo sistema è governato da una logica di stampo commerciale e aziendalistico che trasforma la democrazia in un sistema di gestione privatistico-manageriale. La protesta non è contro la valutazione in quanto tale – precisano gli interessati – ma contro quella basata sulla realizzazione degli obiettivi, un dispositivo neoliberale che cancella l’autodeterminazione del soggetto a partire dalle sue libere facoltà.

I docenti universitari sembrano risvegliarsi: cresce la coscienza che il loro status è decaduto. «I settori più attivi mi sembrano quelli scientifici, in particolare l’ingegneria. Questa mi sembra una novità, visto che per tradizione sono stati i settori umanistici ad essere i più attivi nelle proteste – sostiene Giuseppe De Nicolao, docente a Pavia e redattore del magazine online Roars – Una coscienza che emerge in maniera graduale in una categoria aliena da sempre da qualsiasi sindacalizzazione È un brusco risveglio per qualcuno, molti altri non si sono ancora svegliati».

Dossier: #Salviamolaricerca



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