Provenzano, in isolamento o no? Le Procure si dividono sul boss

Provenzano, in isolamento o no? Le Procure si dividono sul boss

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ROMA Scrive il ministro della Giustizia Andrea Orlando che «non risulta essere venuta meno la capacità del detenuto Provenzano Bernardo di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell’organizzazione criminale di appartenenza, anche in ragione della sua particolare concreta pericolosità». Sebbene costretto da anni su un letto d’ospedale in condizioni di salute sempre più precarie, «non sono stati rilevati dati di alcun genere idonei a dimostrare il mutamento né della posizione del Provenzano nei confronti di Cosa nostra, né di Cosa nostra nei confronti di Provenzano». Un capomafia formalmente in carica, dunque. Ecco perché il 24 marzo il Guardasigilli ha firmato una proroga del «41 bis» nei suoi confronti per altri due anni, notificata al figlio Angelo in qualità di «amministratore di sostegno» del padre, proprio per la sua incapacità di comprendere ciò che gli accade intorno.

Il boss corleonese resta così al «carcere duro», che nell’attuale situazione significa poter ricevere soltanto una visita al mese, di un’ora al massimo, all’ospedale San Paolo di Milano, da parte di un familiare.

In realtà le visite durano molto meno, riferisce il suo avvocato Rosalba Di Gregorio, perché Provenzano (83 anni compiuti a gennaio) non ce la fa a parlare e chissà se capisce chi è andato a trovarlo.

La decisione di Orlando è arrivata una settimana dopo che il primario della V divisione di Medicina protetta del San Paolo, dottor Rodolfo Casati, ha firmato l’ultima relazione con cui Provenzano è stato dichiarato incapace di partecipare a un processo penale (quello per la presunta trattativa Stato-mafia, che nei suoi confronti non è mai cominciato proprio per motivi di salute). Nel referto Casati scrive che il detenuto «è in uno stato clinico gravemente deteriorato dal punto di vista cognitivo, stabile da un punto di vista cardiorespiratorio e neurologico; allettato, totalmente dipendente per ogni atto della vita quotidiana… Alimentazione spontanea impossibile se non attraverso nutrizione enterale. Si ritiene il paziente incompatibile con il regime carcerario. L’assistenza di cui necessita è erogabile solo in struttura sanitaria di lungodegenza».

Tuttavia agli atti dell’ormai corposo dossier sanitario-giudiziario su Provenzano c’è la sentenza della Cassazione che nel settembre scorso confermò la negazione del «differimento pena» per il capomafia sancita dal Tribunale di sorveglianza di Milano. Il quale, nell’occasione, rigettò l’istanza dell’avvocato difensore «non già per problemi di pericolosità sociale, ma perché il suo accoglimento avrebbe comportato il trasferimento dell’interessato in reparti promiscui, dove l’attenzione curativa avrebbe dovuto necessariamente distribuirsi tra gli altri pazienti, verosimilmente con diverse problematiche sanitarie». Carcere confermato per «tutelare il diritto alla salute del detenuto», dunque.

Un groviglio di paradossi e pareri contrastanti, a cui si aggiungono quelli dei magistrati interessati, anch’essi discordanti. Mentre le Procure di Caltanissetta e Firenze hanno confermato l’assenso all’eventuale revoca del «41 bis», già espresso nel 2014, la Procura di Palermo ha cambiato idea: due anni fa era favorevole al «regime ordinario», oggi non più. Per diversi motivi, tutti riportati nelle 16 pagine di provvedimento ministeriale, tra i quali spicca questo: «Seppure ristretto dal 2006, Provenzano è costantemente tuttora destinatario di varie missive dal contenuto ermetico, cui spesso sono allegate immagini religiose e preghiere, che ben possono celare messaggi con la consorteria mafiosa». Anche la Superprocura s’è detta d’accordo (come nel 2014), al mantenimento del «carcere duro», e così il Guardasigilli ha deciso. Alla vigilia del decimo anniversario dall’arresto del padrino, preso dalla polizia l’11 aprile 2006 nella campagna di Corleone, circondato da centinaia di pizzini che ne testimoniavano lo status di capomafia in piena attività; lo stesso per cui, ancora oggi e in quelle condizioni di salute, resta al «41 bis».

Giovanni Bianconi



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