Petrolio, disastro ecologico sul fiume Polcevera

by Marco Vittone, il manifesto | 19 Aprile 2016 10:28

Loading

Prima un sibilo, poi un botto. E i torrenti quasi in secca hanno incominciato a colorarsi di nero. Di un nero denso e puzzolente. A Genova è emergenza ambientale, dopo la rottura di una condotta dell’oleodotto Iplom, che da Busalla scorre fino al porto di Multedo. L’incidente è avvenuto verso le 19.45 di domenica a Fegino, dietro a Sampierdarena, entroterra occidentale del capoluogo ligure. Decine di migliaia di litri di petrolio si sono così riversati nel rio Fegino e nel fiume Polcevera, a due passi dal mare. Per ora l’ipotesi più accreditata è la una rottura di una valvola.

Si prova a scongiurare il disastro. I vigili del fuoco sono intervenuti appena scattato l’allarme e hanno presto avviato tempestive azioni di «schiumatura» e posizionamento di «panne» oleoassorbenti per contenere i danni. È stato posto sotto sequestro l’impianto dell’Iplom di Busalla. Il sostituto procuratore presso la procura di Genova Alberto Landolfi ha aperto un’indagine a carico di ignoti per disastro colposo.

Fino a sera tardi si è continuato a lavorare senza sosta per evitare che il greggio arrivasse in mare aperto. Le barriere sono state sistemate lungo le sponde del rio Fegino, del Polcevera. Sul greto del Polcevera, nella zona di via Perlasca di fronte all’Ikea, è stato avviato un intervento, per cercare di impedire il deflusso in mare del greggio, svolto congiuntamente dai vigili del fuoco e da un’impresa specializzata. L’obiettivo è quello di separare il combustibile dall’acqua del torrente per poi aspirarlo e, nei giorni prossimi, procedere alle operazioni di bonifica. A coordinare le operazioni l’assessore alla Protezione civile del Comune di Genova Gianni Crivello, in accordo con il sindaco Marco Doria. La preoccupazione e la rabbia degli abitanti è tanta. Ieri, i bambini di Borzoli e Fegino, un reticolo di case e strade tra mare e monti nella bassa Val Polcevera, sono rimasti a casa. Le scuole sono state chiuse, l’aria irrespirabile.

Domenica è stata chiusa via Borzoli, riaperta ieri mattina a senso unico alternato. «Ci stanno costringendo a vivere chiusi in casa. L’odore di petrolio è fortissimo, prende la gola. Gli occhi bruciano e siamo soggetti a mal di testa», raccontano gli abitanti che ieri sera si sono riuniti ai giardini Montecucco per decidere le iniziative da intraprrendere. «Siamo di fronte a un disastro di livello nazionale – dice il presidente della Regione, Giovanni Toti, durante il sopralluogo – nelle prossime ore arriveranno due tecnici dell’Ispra, l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che supporteranno Arpal nel lavoro». Con il sindaco Doria, Toti sta valutando una richiesta di danni e di stato di emergenza. Per Regione e Comune non ci sarebbero, però, rischi per la salute pubblica. La Capitaneria di Porto ha diffidato la Iplom a rimediare al danno e sostiene siano stati sversati in acqua 500-600 metri cubi di prodotto. «Stiamo valutando – ha aggiunto il sindaco Doria – tutti i provvedimenti necessari per disciplinare queste attività che rischiano di creare danno»: L’Iplom ha spiegato che «l’incidente si è prodotto mentre era in corso il trasferimento di grezzo da una nave nel Porto Petroli di Multedo. Verificato un calo di pressione il pompaggio è stato immediatamente interrotto». L’azienda ha spiegato di essere «impegnata nelle azioni di bonifica».

Gli abitanti di questa zona, ai margini della città della Lanterna, sono esasperati. «Non è la prima volta , da oltre 50 anni abbiamo un deposito di idrocarburi che ci ha causato molti problemi. Conviviamo con un perenne rischio inquinamento». Antonella Marras del Comitato spontaneo Borzoli e Fegino sottolinea: «L’Iplom dovrà bonificare tutto e poi essere delocalizzata o riconvertita. Questa volta non ci fermeremo: la misura è colma». In una zona come questa travolta dal cemento (ci sono anche i lavori del Terzo Valico) solo una svolta ecologista potrà cambiare la vita della popolazione.

Post Views: 210

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2016/04/83872/