“È un terrorista” La vendetta del Cairo contro il consulente della famiglia Regeni

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Il Regime egiziano ha deciso di tirare dritto. E sul caso Regeni e l’intera partita della sistematica violazione dei diritti umani ha ormai anche smesso di fingere. In barba alle sollecitazioni delle diplomazie americana e inglese (il Foreign Office ha fatto sapere di aver chiesto al Cairo «un’indagine che contempli ogni possibile scenario sulle responsabilità della morte» di Giulio), all’annuncio, rimasto sin qui tale, della nostra diplomazia di «misure adeguate e proporzionate», e alla pressione dei media internazionali, il presidente Al Sisi, il suo ministro dell’Interno Abdel Ghaffar, Polizia, Servizi e magistratura si tolgono la maschera. E annichiliscono con metodo «il nemico interno», nella logica del “colpirne uno per educarne cento”.

Prima le retate di piazza (solo lunedì 25 aprile gli arresti sono stati 238) con il fermo di giornalisti indipendenti, quindi la denuncia penale a carico dell’ufficio di corrispondenza del Cairo dell’agenzia di stampa Reuters, accusata di dare notizie “false e destabilizzanti”. Poi, .nella notte tra lunedì e martedì, come riferito ieri da Repubblica, l’arresto di Ahmed Abdallah, presidente della Ong “Egyptian Commission for Rights and Freedoms”, nonché consulente della famiglia di Giulio Regeni nell’infernale ricerca della verità

Nel capo di imputazione contestato ad Abdallah (prelevato alle 3 di notte nella sua abitazione da un corteo di quattro van della polizia) nel procedimento numero 10698/2016 aperto dalla Procura del Cairo est, è infatti il manifesto di cosa rischi oggi chi nel Paese ha deciso o dovesse decidere di afferrare la bandiera della battaglia per i diritti umani. Come appunto la “Egyptian Commission for Rights and Freedoms” di Abdallah, ong che Repubblica era riuscita a incontrare “semiclandestinamente” al Cairo nel marzo scorso, in un clima già di grande apprensione (Abdallah era riuscito a sfuggire a un primo tentativo di arresto illegale nel gennaio di quest’anno). E che, ancora l’11 aprile scorso, aveva consegnato al “Consiglio Nazionale per i diritti umani” (organo consultivo del Parlamento egiziano) gli ultimi dati sulle sparizioni illegali di oppositori del Regime.

«Il dottor Ahmed Abdallah — scrivono nel loro ordine di cattura i magistrati egiziani — è colpevole di istigazione alla violenza per rovesciare il Governo, la Costituzione e il sistema Repubblicano; di istigazione all’assalto di stazioni di polizia a fini terroristici; di uso della violenza e delle minacce per impedire al presidente di esercitare i suoi poteri e adempiere ai suoi doveri costituzionali; di partecipazione a un gruppo terroristico; di istigazione alla minaccia terroristica attraverso il web; di istigazione a manifestazioni di piazza non autorizzate per mettere a repentaglio la sicurezza pubblica; di diffusione di notizie false e tendenziose per colpire la sicurezza pubblica e alimentare la sfiducia della cittadinanza nello Stato; di possesso di materiale propagandistico inneggiante al cambio di regime e alla modifica della Costituzione ».

In realtà, Ahmed Abdallah è colpevole di un solo reato. Aver avuto il coraggio di mettere per iscritto l’indicibile, per giunta in un rapporto reso pubblico al “Consiglio Nazionale per i diritti umani” e accompagnato da “raccomandazioni” per l’introduzione nella legislazione egiziana di strumenti effettivi in grado di rompere l’omertà degli apparati della sicurezza civile e militare e di portare alla luce le condizioni di detenzione nelle decine di prigioni segrete del Paese.

Tra il primo dicembre 2015 e il 31 marzo 2016, si legge in quel rapporto, i casi di sparizione illegale in Egitto sono stati 204 (a cui vanno sommati i 340 dall’agosto al novembre 2015). E di 103 scomparsi non si è avuta più alcuna notizia. «Le vittime di questi sequestri — scriveva Abdallah e la sua “Egyptian Commision” — sono regolarmente vittime di tortura e trattamenti disumani da parte di agenti della Sicurezza Nazionale per costringerli, in taluni casi, a confessare reati che non hanno commesso». L’età media degli scomparsi nel periodo dicembre 2015-marzo 2016 — documenta ancora il dossier — è di 25 anni, con 79 casi su 204 (il 39 per cento del totale). Mentre i minori sequestrati nello stesso lasso di tempo sono stati 21. «Si tratta per lo più di appartenenti alla classe media e alla classe operaia, con una maggioranza assoluta di studenti (100 casi)». Geograficamente concentrati al Cairo, nel distretto di Giza, ad Alessandria e Beni Suef.

Tutto questo, in un Paese che — è notizia di ieri — si prepara a mandare in un “road show” europeo e internazionale (anche Roma tra le sue tappe) la sua “Commissione parlamentare per i diritti umani”, i cui incontri — a leggere quanto scrive il quotidiano “Al Watan” — «avranno lo scopo di difendere la reputazione dell’Egitto all’estero».

 



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