Iraq, nuova missione Gli elicotteri italiani in prima linea contro il Califfato

Iraq, nuova missione Gli elicotteri italiani in prima linea contro il Califfato

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Missioni in «condizioni non permissive»: un eufemismo formidabile che mimetizza l’ingresso dell’Italia nella prima linea della guerra contro lo Stato Islamico. Nel 1999 i bombardamenti in Kosovo vennero chiamati «difesa integrata», oggi invece in Iraq comincia «l’attività di personnel recovery in condizioni non permissive».

Cosa significa? Otto elicotteri italiani interverranno per soccorrere feriti e recuperare soldati accerchiati. Se necessario, lo faranno anche sotto il fuoco nemico, combattendo e atterrando alle porte di Mosul, la capitale del Califfato. Per questo a Erbil è cominciato lo schieramento della brigata Friuli, la nostra “cavalleria dell’aria” che traduce in tattiche moderne le azioni congiunte di elicotteri e fanti rese celebri dal film “Apocalypse now”. I primi quattro velivoli sono già arrivati nel Kurdistan iracheno, il resto dello squadrone li raggiungerà entro fine mese. La stampa locale li ha accolti con entusiasmo: i peshmerga non hanno mai avuto un sostegno così potente.

I nuovi soldati saranno solo 130, tutti veterani e specialisti in questo genere di operazioni ad alto rischio. Ma grazie agli italiani adesso i battaglioni curdi possono contare notte e giorno su quattro elicotteri NH90, uno dei mezzi migliori esistenti al mondo, con dotazioni d’avanguardia: hanno cabine blindate, apparati per evitare i missili terra-aria, mitragliere a canne rotanti. Ognuno trasporta due squadre di incursori con i loro equipaggiamenti oppure tre barelle con la strumentazione medica per la prima assistenza. Ma a incoraggiare i peshmerga è soprattutto l’imminente arrivo di quattro elicotteri da battaglia Mangusta, le cannoniere volanti che proteggono i nostri soldati in tutte le missioni estere. Sono velivoli corazzati, armati con un pezzo a tiro rapido e missili a guida laser: in Afghanistan i Taliban fuggono al solo rumore dei loro rotori, perché si sono dimostrati uno “strumento di deterrenza” – altro eufemismo militare – impressionante. I documenti interni del Pentagono rivelati da Wiki-Leaks descrivono decine di raid condotti dai Mangusta, con un numero di vittime rimasto top secret.

La nuova spedizione in Iraq invece non è un segreto. A febbraio il ministro Roberta Pinotti l’ha annunciata in tutte le sedi. Ma forse i nostri parlamentari, spesso disattenti alle questioni militari, ne hanno sottovalutato l’impatto operativo. Perché lo squadrone della Friuli entrerà in azione a maggio, in contemporanea con l’attesa offensiva per liberare Mosul, la città dove al Baghdadi ha proclamato il Califfato.

Non sarà una passeggiata. Lo Stato Islamico è sicuramente in difficoltà e si sta ritirando su tutti i fronti. Ha meno finanziamenti, meno volontari stranieri, meno rifugi sicuri ma resta comunque temibile. I miliziani con la bandiera nera si stanno concentrando nelle città più fedeli, trasformandole in roccaforti protette da ogni genere di trappola esplosiva: il centro di Ramadi, riconquistato due mesi fa, non è stato ancora bonificato dalle mine. E, nonostante i colpi subiti, i battaglioni dello Stato Islamico non rimangono sulla difensiva. Lanciano sortite continue, soprattutto contro le basi dell’esercito iracheno, nel tentativo di demoralizzarne i ranghi. Mandano kamikaze alla guida di camion imbottiti di tritolo e coperti di lastre d’acciaio, “rinoceronti” con cui sfondano i check point e fanno saltare in aria le caserme. Il cuore degli scontri è la cittadina di Makhmour, il trampolino per l’assalto verso Mosul.

I generali occidentali credono che per espugnare la capitale del Califfato servano tra 24mila e 36mila soldati. Finora però il governo di Bagdad è stato in grado di raccogliere meno di 5mila uomini, un’armata troppo piccola per l’assedio. Gli americani cercano di sostenerla in tutti i modi. I marines hanno costruito una base d’artiglieria, che copre con i suoi cannoni a lungo raggio i movimenti delle colonne irachene. E ogni giorno gli aerei della Coalizione internazionale bombardano i fortini dello Stato islamico intorno a Mosul: solo giovedì ci sono stati 21 raid. I piani per la grande offensiva però sono frenati dalla situazione politica di Bagdad, dove il primo ministro Abadi affronta da settimane una crisi che paralizza il parlamento e blocca le mobilitazione. Una situazione che preoccupa pure le Nazioni Unite, che temono di vedere l’Iraq frantumarsi in tanti staterelli l’uno in conflitto con l’altro: «L’unico partito che trarrà vantaggio da queste liti e dall’indebolimento delle istituzioni è il Daesh», hanno dichiarato ieri i rappresentanti dell’Onu.

È in questo scenario confuso che atterrano a Erbil gli otto elicotteri italiani. E che cominciano i sopralluoghi per una missione molto più complessa: i lavori della diga di Mosul, affidati alla Trevi di Cesena. Sarà un cantiere colossale – l’opera di cemento è alta 131 metri e lunga più di tre chilometri – e verrà protetto da altri 450 fanti, con mezzi blindati e armi pesanti. Questa task force entro l’estate diventerà il più importante contingente occidentale in Iraq: nessun paese straniero ha tanti soldati in una singola posizione. Una base enorme da difendere, a venti chilometri dalle posizioni del Califfato.



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