La flotta è un mistero ma costerà 5 miliardi lo strano caso della Legge Navale

by GIANLUCA DI FEO, la Repubblica | 13 Aprile 2016 10:02

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METTERE il carro davanti ai buoi è un antico vizio dei governi italiani, ma farlo pure in mezzo al mare è qualcosa di miracoloso. La Legge Navale assomiglia molto a questo proverbio: sono stati firmati contratti miliardari senza stabilire quello che verrà costruito. I fornitori sono Fincantieri e Finmeccanica, il prezzo è fissato, il resto verrà deciso sulla fiducia: caratteristiche, prestazioni, dotazioni, dimensioni. Comprereste un’automobile senza conoscerne la velocità, il motore, i sedili, gli optional? Senza neppure vedere un progetto o un modellino definitivo della vettura? Ebbene lo Stato italiano sta spendendo quasi cinque miliardi e mezzo per acquistare una nuova flotta militare senza che nessuno sappia che navi saranno. Ci sono solo delle indicazioni di massima sul ruolo che dovranno avere, mentre persino il numero è variabile. I pattugliatori d’altura da 400 milioni l’uno saranno sei, come annunciato in Parlamento? O sette, come ha recentemente ipotizzato l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi? Tutto è discrezionale: cosa fare e come lo decidono i vertici della Marina Militare assieme alle due aziende.

Nelle forniture belliche appalti e gare sono una rarità, quasi tutto avviene per trattativa diretta ma la nuova flotta sta prendendo il largo in una nebbia profonda. Certo, la Legge Navale è un provvedimento assolutamente straordinario. L’unico ad avere strappato oltre 5 miliardi di euro nel momento più cupo della spending review. E l’unico senza indicazioni certe su come spendere i soldi. Non è un caso che questa miniera d’oro abbia attratto appetiti politici e imprenditoriali d’ogni risma, registrati nelle intercettazioni della procura di Potenza: non esistono altri investimenti così ricchi e così flessibili.

Tutto è mutevole, a partire dai fondi. La legge di stabilità del 2014 parlava di 5,4 miliardi in venti anni, da racimolare con i mutui e quindi con interessi che avrebbero lasciato poco più di quattro miliardi per le compere. L’anno successivo però una bacchetta magica rimpiazza i mutui con finanziamenti diretti del Ministero dello Sviluppo Economico, all’epoca guidato da Federica Guidi, e quindi tutti i fondi diventano disponibili per lo shopping navale. Centinaia e centinaia di milioni in più, anche se la lista della spesa non cambia. Una stranezza, non l’unica.

Il 5 maggio 2015 vengono firmati i contratti per comprare 6 pattugliatori e un rifornitore d’altura. Secondo il comunicato delle aziende il prezzo totale è di 3,5 miliardi, inclusi dieci anni di manutenzione: 2,3 miliardi per Fincantieri, il resto per Finmeccanica. Ma nel decreto del governo si prevedeva di spendere solo due miliardi e 945 milioni: il mezzo miliardo in più da dove è spuntato?

Pochi mesi dopo parte anche la commessa per una nave portaelicotteri destinata al supporto delle operazioni da sbarco. E anche qui c’è un aumento significativo, perché si prevedono 1.126 milioni contro gli 884 deliberati dal Parlamento. Nel passaggio dalle Camere agli uffici tecnici della Marina la nave infatti si è ingigantita. La sigla è rimasta la stessa, LHD (ossia Landing Helicopter Dock), il dislocamento però si è gonfiato fino a ventimila tonnellate e il ponte di decollo ha raggiunto i duecento metri. É tre volte più grande delle vecchie unità classe “Santi” che doveva rimpiazzare, con caratteristiche sempre più somiglianti a una vera portaerei: non a caso, il tonnellaggio è il doppio della Garibaldi, la seconda ammiraglia della flotta. Tutte queste valutazioni, però, sono basate su indiscrezioni, perché non ci sono certezze sul mezzo finale che verrà acquistato. Decide la Marina e gli italiani pagano.

Nel caso della “quasi portaerei” si sa che 853 milioni andranno a Fincantieri e 273 a Finmeccanica: una cifra quest’ultima che potrebbe salire quando si stabiliranno esattamente radar, missili e centrali operative da imbarcare. Tutto sulla fiducia, tutto a porte chiuse. Come gli armamenti dei sei pattugliatori, che verranno varati in diverse versioni: alcuni pronti alla guerra con missili e cannoni, altri “light” come i prodotti dietetici con una maggiore vocazione di soccorso in mare e protezione civile.

Alla fine, però, i contratti valgono circa 4,6 miliardi. Sulla carta restano 900 milioni. E l’avanzo? Se la vedranno Marina, Fincantieri e Finmeccanica. Certo, la particolarità di questa operazione economica permette di leggere in una luce diversa alcune delle intercettazioni di Potenza. Come le proteste della Guidi perché era stata esclusa dalle trattative con Finmeccanica dal suo vice Claudio De Vincenti, poi diventato sottosegretario di Palazzo Chigi. E la forza dell’ammiraglio Giuseppe De Giorgi nel dominare la partita sta anche nel rapporto di ferro con Matteo Renzi, ispirato sicuramente dal dinamismo dell’ufficiale nella gestione di missioni difficili e poi proseguito su altri tavoli. Fino all’ipotesi di affidare a De Giorgi la Protezione civile, storica fucina di scandali in nome dell’efficienza, tramontata dopo l’inchiesta lucana.

Negli atti dei pm sono finite pure le manovre “politiche e imprenditoriali” dell’ammiraglio per silurare la riforma della Difesa voluta dal ministro Roberta Pinotti. Un piano condensato nel Libro Bianco che prevede di centralizzare i contratti, evitando che ogni forza armata decida per fatti suoi. Tanto che De Giorgi, parlando con un’imprenditrice del settore, spiegava che «se fosse passata la riforma il business navi si sarebbe sensibilmente ridotto». E che business!

 

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