Naufragio nell’Egeo, morte quattro donne e un bambino

by il manifesto | 10 Aprile 2016 18:24

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Nessun accordo potrà convincerli a non tentare di arrivare in Europa. E nessun accordo, purtroppo, riuscirà a mettere fine alle tante tragedie del mare. Cinque migranti, quattro donne e un bambino, sono morti ieri dopo che la barca con la quale stavano attraversando il mar Egeo si è rovesciata al largo dell’isola greca di Samos. Altri cinque, due donne due uomini e un bambino, sono stati invece salvati dalla guardia costiera greca che per ore ha proseguito le ricerche di eventuali altri sopravvissuti.
Non solo viola i diritti internazionali, ma l’accordo siglato tra l’Unione europea e la Turchia il 18 marzo scorso per fermare le partenze dei migranti non riesce neanche a limitare le morti in mare. L’ultima tragedia è avvenuta ieri, dopo che venerdì altri 120 migranti erano stati deportati in Turchia tra e proteste degli attivisti «no borders» che hanno cercato di impedire al traghetto su cui viaggiavano scortati dalla guardia costiera turca di prendere il largo.
Dal 20 marzo chiunque arrivi sulle isole del Dodecanneso viene bloccato e, nel caso non presenti domanda di asilo, rispedito in Turchia come previsto dall’accordo. la lentezza con cui le autorità greche procedono all’esame delle domande ha però creato un sovraffollamento degli ex centri di accoglienza divenuti centri di detenzione e peggiorato notevolmente le condizioni di vita dei migranti. Una situazione particolarmente preoccupante a Lesbo e Chios, dove ormai si contano4.200 profughi «in condizioni agghiaccianti, nella crescente incertezza e angoscia di cosa accadrà loro», ha denunciato ieri Amnesty International.
L’organizzazione ha visitato e centri di Moria, a Lesbo, e di Vial, a Chios, dove ha potuto parlare con 89 profughi. Di questi, denuncia l’associazione, molti erano in condizioni di particolare vulnerabilità: donne incinte, bambini e neonati, persone con disabilità, traumi e malattie gravi. «Sulkle rive dell’Europa i rifugiati sono intrappolati senza luce alla fine del tunnel. Un piano così pieno di difetti – ha detto Gauri van Gulik, vicedirettrice del programma Europa e Asia centrale di Amnesty riferendosi all’accordo tra Ue-Turchia – precipitoso e mal impostato che calpesta i diritti e il benessere di persone che sono tra le più vulnerabili».
Amnesty ha inoltre denunciato la mancanza per i migranti di assistenza legale e di informazioni sul quanto potrà accadere loro. Migliaia di uomini, donne e bambini sono costretti a vivere in strutture chiuse, circondate da barriere di filo spinato e controllate dalla polizia. «La disperazione è palpabile», ha dichiarato ancora l’associazione.
A Chios, invece, dopo una serie di scontri tra diverse comunità nazionali, 400 migranti sono riusciti a fuggire dal centro e ora dormono all’aperto nella zona del porto. Amnesty ha chiesto alla Grecia e all’Unione europea di sospendere i respingimenti in Turchia fino a quando non saranno in vigore maggiori garanzie per i migranti.
In questa situazione sabato prossimo, 16 marzo, a Lesbo arriverà papa Francesco.
Una visita che è una condanna all’accordo siglato con Ankara e verso il quale la chiesa non ha mai risparmiato critiche anche severe. Come confermano le parole dette ieri in un’intervista all’Osservatore romano dal cardinale Antonio Maria Vigliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti. «la visita del papa – ha detto – è un segno concreto della sua vicinanza a migranti e rifugiati e riporta i primo piano il problema migratorio in Italia». «E’ un momento n cui l’Europa _ ha proseguito monsignor Vegliò – con il recente accordo con la Turchia continua a alzare barriere, a chiudere i confini e a ledere i diritti fondamentali di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Siamo di fronte a un accordo miope che non consente una gestione dei flussi migratori nel rispetto della persona».

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